lunedì 22 dicembre 2014

9. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

La mente (1).
Il Discorso affronta ora il terzo Satipatthāna, la mente. Anche in questo caso è meglio andare a vedere esattamente quali sono le indicazioni, dato che non si tratta di un generico “contemplare la mente”, le sue attività, i suoi stati. L’indirizzo è preciso.
Il Buddha suggerisce di verificare, tramite la consapevolezza se nella propria mente sono presenti degli “stati”, ovvero i rispettivi opposti. I primi quattro sono classificati dai commentari come “ordinari”, gli altri quattro sono “superiori”. Il Buddha dice:
1.    Egli sa che una mente pervasa dal desiderio è pervasa dal desiderio; egli sa che una mente priva di desiderio è priva di desiderio.
2.    Egli sa che una mente pervasa dall’avversione è pervasa dall’avversione; egli sa che una mente priva di avversione è priva di avversione.
3.    Egli sa che una mente pervasa dall’illusione è pervasa dall’illusione; egli sa che una mente priva di illusione è priva di illusione.
4.    Egli sa che una mente contratta è contratta; egli sa che una mente distratta è una mente distratta.
5.    Egli sa che una mente vasta è una mente vasta; egli sa che una mente limitata è una mente limitata.
6.    Egli sa che una mente che non ha livelli ad essa superiori è una mente che non ha livelli ad essa superiori; egli sa che una mente che può raggiungere livelli superiori è una mente che può raggiungere livelli superiori.
7.    Egli sa che una mente concentrata è una mente concentrata; egli sa che una mente non concentrata è una mente non concentrata.
8.    Egli sa che una mente liberata è una mente liberata; egli sa che una mente non liberata è una mente non liberata.

Un fondamentale atteggiamento sottende queste contemplazioni: la mente non è più, come viene sperimentata di solito, un’entità individuale o indissolubilmente legata al sistema-individuo, ma è un qualcosa che viene sperimentato tramite degli eventi, i suoi “stati”, che sono veri e propri “oggetti”, contemplabili e analizzabili secondo le loro caratteristiche qualitative. Di nuovo la visione “clinica” propria di questo Discorso, e ricordiamo che il “ritornello”, anche in questo caso, invita a portare queste contemplazioni su se stessi e su gli altri, enfatizzando gli aspetti del sorgere e del cessare degli eventi mentali. La strada indicata è quella che conduce al distacco e alla non identificazione: non si tratta di reprimere o di opporsi ad un determinato stato mentale, ma di osservarlo e di comprendere “dal vivo” come la mente, a partire da impulsi quasi impercettibili, produca pensieri, immagini, ulteriori impulsi ad altri pensieri e azioni, o anche a negazioni o repressioni che hanno lo scopo di mantenere la propria autostima (scaccio dalla mia mente un pensiero violento perché non mi piaccio quando sono aggressivo). Mantenere una consapevolezza non reattiva disattiva gli stimoli emozionali e coinvolgenti.
I primi tre stati mentali, desiderio, avversione e illusione sono le radici di tutti i fatti mentali nocivi. E qui si favorisce anche una sorta di allenamento alla distinzione tra ciò che è salutare e ciò che non lo è, distinzione non sempre facile.
 Mentre l’opposto dei tre indica uno stato mentale di assoluta positività (mancanza di desiderio, avversione, illusione), la coppia di opposti del quarto punto è formata da due elementi parimenti non salutari: la mente contratta viene intesa come preda di indolenza e torpore; per quanto riguarda la mente distratta, non è necessario parlarne, in quanto si tratta dell’esperienza primaria di chiunque si disponga a praticare la meditazione. È bene ricordare che anche in questo caso l’indicazione è la contemplazione non giudicante, non coinvolta con i contenuti che la mente distratta produce. Si tratterà di centrarsi sulla consapevolezza stessa e di “sapere”: “la mia mente è distratta”. “Superare” la distrazione è un lungo lavoro che coinvolge in primo luogo la Retta Visione, necessita di una forte dose di sincerità verso se stessi e l’aiuto di un insegnante.
Il Buddha ha però inserito in un altro discorso una sorta di “manuale contro la distrazione”, un certo tipo di distrazione. Ne parlerò nel mio prossimo post, quando concluderò la mia esposizione del terzo Satipatthāna.

Auguro a tutti coloro che si prendono la briga di leggere il mio blog buone feste e un prospero 2015. Continuerò dopo la Befana.

domenica 14 dicembre 2014

Incontro gratuito di meditazione il 21 dicembre

Ricordo che l'ultimo incontro gratuito di meditazione che terrò prima di Natale sarà domenica prossima 21 dicembre alle 10 nel Centro Yoga BKS Yiengar a via Vegezio, 6, Roma. (Zona Balduina). Non c'è alcuna formalità di iscrizione, prenotazione o altro e la conclusione è prevista per le 12.
Per informazioni telefonatemi o scrivetemi ai recapiti in basso sull'home page di questo blog.

giovedì 4 dicembre 2014

7. La meditazione secondo il Satipatthana Sutta

Le sensazioni.
Avendo terminato il lungo capitolo che riguarda il corpo, il Discorso si occupa ora del secondo Satipatthāna, le Sensazioni. Bisogna intendersi prima di tutto sul significato di questa parola in questo contesto, essendo essa, come spesso accade, un ripiego dei traduttori alle prese con complessi valori semantici. La sensazione è la risposta affettiva ad una percezione sensoriale, rammentandosi che in questo caso i sensi sono 6, essendo inclusa la mente (che “percepisce” i pensieri).
Consapevolezza delle Sensazioni significa quindi rispondere (silenziosamente o meno) a questa domanda: “questa sensazione mi piace o non mi piace”? e sostenere l’attenzione su questa presa di coscienza. Si tratta cioè di rivolgersi alle fasi iniziali del sorgere del piacere e del dispiacere, con una immediatezza tale che la consapevolezza sarà presente prima del manifestarsi, automatico e spesso doloroso, di reazioni, proiezioni, spiegazioni, intellettualizzazioni, giustificazioni.
Le implicazioni di questo esercizio sono immense, ma prima vediamo esattamente come il Buddha articola il Discorso: “Quando egli prova una sensazione piacevole, egli sa, ‘sto provando una sensazione piacevole’…” e così via, ponendo l’attenzione su sensazioni piacevoli, spiacevoli e neutre; poi su sensazioni mondane piacevoli, spiacevoli e neutre e infine su sensazioni sovramondane piacevoli, spiacevoli e neutre. Si intende generalmente che le sensazioni mondane sono quelle che riguardano il corpo, mentre quelle sovramondane sono le altre. Molti dibattiti sono stati fatti su cosa esattamente siano le sensazioni neutre, e di solito si intendono quelle percezioni, come ad esempio lo spazio di una stanza qualsiasi (e non lo spazio maestoso di una chiesa o quello angusto di una grotta), che colpiscono i nostri organi dei sensi ma che passano tranquillamente inosservate.
Dicevo quindi che il beneficio della consapevolezza delle Sensazioni è quello di disinnescare il condizionamento del “mi piace / non mi piace” che troppo spesso agisce a livelli sottili e quasi inosservabili. Ma uno sguardo complessivo alla dottrina che emerge dai Discorsi del Buddha rivela una portata enorme di questo esercizio, che giustifica pienamente la sua presenza nel Satipatthāna Sutta che, ricordo, elenca solo 4 modi di “Essere nella Consapevolezza”. Mi riferisco in primo luogo al fatto che le Sensazioni (solo le Sensazioni “mondane”) attivano le “Tendenze Latenti” di attaccamento, avversione e ignoranza (a volte chiamati “i 3 veleni”) che tanta parte hanno nel nostro essere complici nel creare con le nostre mani la nostra sofferenza. Questo passaggio è illustrato egregiamente nel Discorso della Freccia che può essere letto in italiano seguendo questo link: http://xoomer.virgilio.it/karuna/discorso%20della%20freccia.htm. La differenza tra “l’uomo ordinario e il nobile discepolo” è tutta nella frazione di secondo successiva all’essere colpiti da una freccia: l’uomo ordinario aggiunge al dolore fisico quello mentale e va subito alla ricerca (desiderio / attaccamento) di piaceri compensatori, il nobile discepolo rimane semplicemente nella consapevolezza del primo.
Le Sensazioni nascono dal contatto dei nostri sensi con i fenomeni che ci circondano. A seconda della nostra risposta affettiva generano attaccamento, avversione, ignoranza. In un discorso, il Buddha lega il sorgere di opinioni e punti di vista proprio a tale risposta affettiva. Sfera fisica, sfera affettiva, sfera cognitiva: in questo aspetto della nostra vita ci sono racchiuse tutte le nostre dimensioni. Secondo alcuni commenti alla dottrina della Coproduzione Condizionata (http://it.wikipedia.org/wiki/Coproduzione_condizionata), che riassume l’itinerario della nostra condizione umana dall’Ignoranza alla Sofferenza secondo 12 nessi di causa ed effetto, il legame sensazione-desiderio-attaccamento è l’unico che può essere rotto, per l’appunto in virtù della consapevolezza, consentendoci di uscire dal ciclo dell’esistenza mondana caratterizzata dal dolore.
Consapevolezza delle sensazioni a livelli sempre più sottili, ascolto, accettazione e indagine delle nostre reazioni automatiche in termini fisici e mentali, ce ne è abbastanza per praticare tutta la vita!

Quindi, se qualcuno è interessato a sviluppare una “pratica nella vita quotidiana”, sicuramente, portando avanti la consapevolezza del nostro continuo “mi piace-non mi piace”, magari allenandosi durante la meditazione seduta, non si farà sicuramente mancare occasioni per esercitarsi.

lunedì 1 dicembre 2014

Nuovo tempio al Santacittarama

Dopo un periodo di malattie stagionali che ha colpito me e la mia famiglia, riprenderò tra breve la mia esposizione sulle pratiche meditative del Satipatthana Sutta con la Consapevolezza delle Sensazioni. Intanto posto questo link:
dove, oltre ad una breve storia del Monastero Santacittarama, viene illustrato il progetto per la costruzione della nuova Sala di Meditazione.

martedì 18 novembre 2014

Consapevolezza facendo la fila

Pubblico questo interessantissimo articolo tratto dal sito (che non chiede diritti in un vero spirito dharmico) “Zen in the city” (il link è: http://zeninthecity.org/7-modi-per-meditare-mentre-si-fa-la-fila/), che a questo punto, dopo la contemplazione del corpo, ci sta davvero bene anche per introdurre qualcosa dei prossimi Satipatthāna. Alla fine ci sono 2 note mie.

Fare la fila al supermercato, alla Asl o alle poste può essere noioso per alcuni, ma è una grande occasione per entrare in contatto col proprio corpo, con le sensazioni e con lo stato della mente. In altre parole, per meditare e di conseguenza migliorare la qualità della vita propria e altrui. Ecco alcuni esempi pratici, da integrare con la propria creatività:
1.    Prova a concentrarti sul respiro: inspirando, sono consapevole dell’aria che entra nel mio corpo; espirando, sono consapevole dell’aria che esce. Portare l’attenzione al respiro consente di creare un ponte tra la mente e il corpo e tornare così al momento presente, a ciò che c’è qui e ora. Se nel locale c’è la musica di sottofondo, questo esercizio è più difficile, quindi meglio che ne provi uno diverso.
2.    Prova a rilassare le parti del corpo che più di tutte risentono dello stress: il viso, innanzi tutto, poi le spalle (e conseguentemente il collo), poi la gola e infine l’addome. Il rilassamento è più facile se aiutato dal respiro e in particolare nella fase dell’espirazione. Questo esercizio, oltre a farti capire come sta il tuo corpo, e quindi come stai tu, ti farà sentire sicuramente meglio.
3.    Il body scan è un’azione più sistematica sul corpo e un lavoretto molto interessante da fare nelle pause. Consiste nel passare in rassegna tutto il corpo, dalla punta delle dita dei piedi fino alla sommità della testa. L’attenzione illumina ogni parte del tuo corpo con la luce della consapevolezza e ti fa entrare in pieno contatto con la tua parte corporea, portandole persino sollievo.
4.    Ripeti mentalmente queste 5 frasi (tra parentesi per ciascuna la sintesi per impararle a memoria):
inspirando, so che sto espirando, espirando, so che sto espirando (inspiro, espiro);
inspirando il mio respiro si fa profondo, espirando il mio respiro si fa lento (profondo, lento);
inspirando, calmo il mio corpo, espirando metto il corpo a suo agio (calma, agio);
inspirando sorrido, espirando lascio andare tutte le tensioni (sorrido, lascio andare);
inspirando, dimoro nel momento presente, espirando so che è un momento meraviglioso (momento presente, momento meraviglioso).
5.  Manda un augurio alle persone che stanno intorno a te, mentalmente, come ad esempio: “che tu possa essere in pace, felice e leggero nel corpo e nella mente”, oppure “che tu possa essere al sicuro e libero da i pericoli”, o “che tu possa essere libero da rabbia, paura e ansia”. Stai facendo quella che nella tradizione buddhista viene chiamata “metta” o meditazione d’amore, una pratica molto potente e in grado di portare benessere a chi la adotta.
6.   Osserva le persone attorno a te il più possibile direttamente, senza pregiudizi, senza cercare di capire, senza interpretare. Un’osservazione il più possibile libera da attaccamento e avversione ti consentirà di entrare in contatto con la loro umanità più autentica, con le molte cose che hanno in comune con te, di coglierne gli aneliti di desiderio e speranza, ma anche di paura e di sofferenza che, in modi e in misura diversa, sono presenti in ciascuno. Attraverso gli altri entrerai in contatto con la straordinaria bellezza dell’umanità, che è anche la tua bellezza.
7.    L’investigazione è la forma più sofisticata di meditazione ed è praticabile in parte anche in questo caso, specie se non c’è musica di sottofondo o persone accanto che parlano al telefono. Passa in rassegna a turno le 6 “porte” attraverso cui entri in contatto con la realtà: vista, udito, tatto, olfatto, gusto e attività mentale. Ciascuna di esse entra in contatto con fenomeni che provocano sensazioni (ad esempio un suono o un odore) o formazioni mentali (pensieri, stati d’animo, ecc.). Prova a osservarli semplicemente, senza farti trascinare dai pensieri che ne potrebbero scaturire.
PS – Se la fila è col numeretto, mantieni una parte della tua attenzione, quella non principale (“attenzione periferica“) al numero, altrimenti lì in fila ci passi tutta la giornata!

Qui si conclude il copia-incolla dal sito Zen in the city. Trovo tutto molto corretto, solo il punto 6 è un tantino romantico. Il prof. Corrado Pensa consiglia, in un modo più asciutto, l’esercizio dell’”altro anonimo”. Tutte le colte che siamo vicini ad un altro essere umano, cioè praticamente sempre, possiamo fare attenzione all’attività proiettiva-giudicante della nostra mente. Quello è antipatico, è vestito bene oppure volgare, mi sa che è meridionale, urca mica male quella, eccetera. L’attività in tal senso della mente è devastante, e possiamo accorgercene se proviamo a imporci il silenzio mentale, ad esempio, sull’autobus. Ci renderemo allora conto della forza del nostro giudizio. Trascorrere del tempo a contemplare consapevolmente la nostra mente in questa attività non è certo tempo perso.

Della Metta (5) e della contemplazione delle sfere dei sensi (7) parlerò più avanti. Col prossimo post passerò al secondo Satipatthāna: le sensazioni. 

lunedì 17 novembre 2014

Meditazione - Incontro gratuito di novembre

Anche questo mese condurrò un incontro gratuito di meditazione la domenica mattina al Centro Yoga B.K.S Iyengar (Associazione sportiva dilettantistica) di Via Vegezio, 6 a Roma (Zona Balduina).
L'appuntamento è il 23 novembre alle 10.
Info: 388 8542264

giovedì 13 novembre 2014

Suggerimenti di pratica di Ajahn Chah

Abbiamo visto nei precedenti post diversi "esercizi" di contemplazione. Qui di seguito riporto un breve passo del maestro tailandese Ajahn Chah sullo spirito della pratica, uno spirito di indagine attenta valido sia per la pratica seduta che per la vita quotidiana. La "pratica nella vita quotidiana" per chi ci si vuole dedicare, è altrettanto impegnativa quanto la pratica seduta.

"Un altro modo di praticare il Dhamma è quello di contemplare ed esaminare tutto ciò che vediamo, facciamo e sperimentiamo. La meditazione non ha mai fine. Alcuni credono che quando hanno finito le sessioni di meditazione seduta o camminata, bisogna smettere e riposarsi. Smettono di concentrare la mente sull’oggetto di meditazione o sul tema di contemplazione. Li lasciano perdere completamente. Non praticate così. Indagate su ogni cosa che vedete per capire come è realmente. Contemplate la buona gente del mondo. Contemplate anche quella cattiva. Osservate profondamente il ricco e il potente; il povero e il reietto. Quando vedete un bambino, una persona anziana, un giovane o una giovane, indagate sul significato dell’età. Tutto è materiale di indagine. E’ così che coltivate la mente. La contemplazione che porta al Dhamma è la contemplazione della condizionalità, del processo di causa ed effetto, in tutte le sue manifestazioni: maggiore o minore, bianco o nero, buono o cattivo. In breve, tutto. Quando avete un pensiero, riconoscetelo come un pensiero e contemplate che è solo quello, niente di più. Tutte queste cose vanno a finire nel cimitero dell’impermanenza, dell’insoddisfazione e del non-sé, per cui non attaccatevi morbosamente a nessuna di esse. E’ il cimitero di tutti i fenomeni. Seppelliteli o cremateli per poter sperimentare la Verità."


Tratto da "Una pace incrollabile." di Ajahn Chah. (il libro è per la libera distribuzione e può essere scaricato gratuitamente dal sito del Monastero Santacittarama)

lunedì 10 novembre 2014

6. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

I 4 elementi e il corpo in decomposizione.
1. (i 4 elementi). Riportiamo la breve istruzione del Buddha: “Egli esamina questo stesso corpo, in qualsiasi luogo sia posato e in qualsiasi modo sia disposto, come consistente di 4 elementi, in questo modo: ‘in questo corpo c’è l’elemento terra, l’elemento acqua, l’elemento fuoco e l’elemento aria.’” Grande è la validità di questa pratica, solo apparentemente anacronistica. Infatti essa ha il pregio di soffermarsi su delle qualità del corpo piuttosto che su delle percezioni materiali, che possono essere considerate le uniche valide perché obbiettive e magari anche “scientifiche”. Portare la consapevolezza su una mano può apparire semplice e concreto, ma in realtà questa non è la sola possibile forma di attenzione, anzi. Possiamo infatti soffermarci sulla qualità della sensazione che proviamo e promuovere così una consapevolezza più completa, inclusiva e meno razionale. La mano ci potrà apparire solida e pesante (terra) attraversata dal flusso sanguigno (qualità del movimento propria dell’aria), la percepiremo calda (fuoco) e dotata di coesione interna, o potremo percepire la qualità della coesione (acqua) sentendo le dita che aderiscono l’un l’altra a causa di una leggera umidità. Questi discorsi possono essere riportati anche assai amplificati, se ad esempio si porta l’attenzione a ciò che si può percepire degli organi interni.
Anche qui il Buddha illustra la pratica con un paragone: l’atteggiamento raccomandato è quello di un macellaio che smembra un vitello. La sua cognizione non sarà più quella di avere a che fare con un singolo animale unitario, ma piuttosto con diversi pezzi di carne. Allo stesso modo si abbandonerà la percezione unitaria di “io, il mio corpo” per arrivare a quella di qualità elementari. Quelle stesse qualità che si possono riscontrare in qualsiasi oggetto o fenomeno che incontriamo. Se percepiamo il calore di un motore, sappiamo che semplicemente c’è del calore, senza identificare con esso il motore. Con questa pratica potremo quindi restare a lungo a contemplare delle qualità relative al nostro corpo senza identificare esse con noi stessi.

2. (il corpo in decomposizione). L’ultima meditazione del Satipatthāna Sutta è difficilmente realizzabile da un moderno praticante occidentale. Nell’India antica, si desume dal discorso, oltre alla cremazione era uso abbandonare i cadaveri in appositi spazi dove venivano lasciati agli elementi e alla natura. In questo passo il Buddha invita i suoi seguaci a recarsi in tali ossari a contemplare i corpi in decomposizione, e la descrizione data è assai vivida e particolareggiata: si parte dalla descrizione di un cadavere morto da 2 o 3 giorni, fino a quella di un ammasso di ossa calcinate che si riducono in polvere. Le ultime parole di questa sezione esortano a paragonare il quello osservato con “questo stesso corpo in questo modo: anche questo corpo è della stessa natura, diventerà così, non può evitare lo stesso fato.” Si noti, anche in questo passo, l’assenza di qualsiasi nota di disprezzo, disgusto: l’esame dell’attenzione consapevole è sempre “clinico” e privo di note depressive.
È inutile dire che tali ossari non sono disponibili per i praticanti italiani, e spesso si sente dire che la morte in occidente sia nascosta e negata. Nondimeno, chi si pone l’obbiettivo di dare un maggiore senso alla propria vita non può evitare di confrontarsi con essa. Una delle pratiche suggerite dal Buddha coinvolgevano il cibo e il respiro: anche se ho in bocca un boccone, anche se ho appena inspirato l’aria, non c’è nessuna garanzia che ci sarà un prossimo boccone o un prossimo respiro.
Il ricordare la morte, l’avvicinarsi con consapevolezza ad essa in qualsiasi modo la vita renda possibile porta, secondo i discorsi, a diversi benefici: contrasta il sorgere o comunque il prevalere dei desideri sensuali, favorisce l’intuizione dell’impermanenza, del non sé (il corpo è costituito da parti, e nessuna di esse è in alcun modo un “centro” essenziale), e del dolore inevitabile in ogni esperienza umana. Il refrain, che segue anche questa sezione, raccomanderà di estendere il paragone: non solo il mio corpo farà l’inevitabile fine del corpo che è contemplato, ma anche i corpi di tutti coloro che incontro sono legati allo stesso destino.
Qualche parola va però spesa su come un occidentale del 2014 possa relazionarsi a questa pratica. Nella vita laica è utopistico puntare ad un drastico ridimensionamento dei desideri, che anzi, possono fornire una sana carica progettuale. Inoltre, di quali desideri parliamo? La parola “desiderio” è quasi sempre associata in primo luogo a quello sessuale o relazionale; in secondo luogo si parla di aspirazione ad una buona carriera, alla sicurezza economica variamente modulata, alla posizione sociale. Tutte queste cose nella nostra vita (credo di poter dire tanto di chi legge quanto di chi scrive) vanno ridimensionale, reindirizzate, comprese e considerate nella giusta misura anche alla luce del Dhamma e della pratica. La consapevolezza in generale chiaramente offre una guida, con il suo lento ma inesorabile lavoro di “centratura” sulle aspirazioni più profonde, corrette e compassionevoli di ognuno. Ma anche il pensiero della morte rimette i nostri desideri e aspirazioni in una prospettiva di maggiore autenticità.
Un “effetto collaterale” sarà anche quello di favorire una graduale preparazione al momento stesso della morte. Molti maestri che ho frequentato, monaci in particolare, sottolineavano come la preparazione alla morte debba passare attraverso una disidentificazione con il corpo che, nel caso del Buddhismo Theravada, non sfocia certo in una re-identificazione con qualcosa, anima, essenza, divinità che sia. Ajahn Vajiro, che ora è abate in nuovo monastero in Portogallo, durante un discorso disse: “la morte è un lasciare andare e, per quel che ne so, mi risulta che tutte le esperienze di lasciar andare siano positive e piacevoli”.
Quindi, la sezione relativa al primo Satipatthāna, il corpo, termina, dopo un lungo e accurato lavoro di consapevolezza, con la prospettiva del lasciar andare.

Pubblicherò ancora 2 post di citazioni che mi sembrano a questo punto molto adatti per un approfondimento della pratica, e poi passerò al secondo Satipatthāna: vedanā, le sensazioni.

giovedì 6 novembre 2014

5. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

Il corpo e le sue parti.
È ora la volta del corpo nella sua totalità e nelle sue diverse parti. Molti insegnanti di meditazione moderni, oltre al respiro, vedono nel corpo, appunto nel suo insieme e nelle sue membra e organi, un valido oggetto di attenzione, e a mio avviso è sicuramente così. Anche in ambito “Mindfulness” è diffusa una pratica meditativa chiamata “body scan” nella quale le varie parti del corpo vengono messe sotto l’obbiettivo della consapevolezza in un ordine più o meno sequenziale. Ho personalmente beneficiato molto di questa pratica. Come ho già detto, credo che il corpo offra all’attenzione un ancoraggio assai solido, all’inizio anche più saldo del respiro. Inoltre “passando in rassegna con l’attenzione il proprio corpo”, si possono raggiungere alti livelli di rilassamento e di comprensione intuitivo-energetica della connessione mente-emozioni-corpo. Fatta questa premessa, si può passare ad esaminare ciò che il Buddha esattamente dice nel discorso, per accorgersi subito che il tono generale è molto diverso. Le prime parole di questa sezione sono: “Egli passa in rassegna questo stesso corpo, dalla pianta dei piedi in su e dalla cima della testa in giù, rinchiuso nella pelle, in quanto ripieno di molti tipi di impurità, quali …” E qui inizia un elenco di 31 parti anatomiche, prima le 5 più esterne (capelli, peli, unghie, denti, pelle), poi via via le più interne, includendo carne, ossa, vari organi e infine i fluidi come bile, pus, sangue, sudore, saliva, liquido sinoviale eccetera. Il tutto, ripeto, definito come impurità.
Si può intendere che il corpo venga qui trattato come un microcosmo, essendo anche il macrocosmo, ai tempi del Buddha, costituito da 31 mondi. L’importanza di questa contemplazione è poi confermata dal fatto che essa, indirizzata solamente verso le prime 5 parti esterne, viene a far parte della cerimonia di ordinazione dei novizi (samanera). Non solo. Il fatto che questa sezione sia, come tutte le altre 12 seguita dal “refrain”, fa si che si riceva subito l’istruzione di praticare “internamente ed esternamente”; cioè il praticante viene esortato a contemplare il corpo/impurità non solo in se stesso, ma anche negli altri.
Può qui sorgere un problema. Come si concilia questa esortazione con il legittimo desiderio di molti praticanti di aspirare, tramite la pratica, ad una maggiore autenticità e quindi benessere che includa il corpo, che anzi abbia nel corpo un protagonista della propria crescita interiore? Per rispondere dobbiamo innanzi tutto ricorrere al testo del discorso, in particolare al paragone che a questo proposito il Buddha propone. Egli infatti dice che chi si dispone ad esaminare il proprio corpo secondo le linee guida di cui sopra, è come un uomo dotato di buona vista che vaglia un sacco pieno di grani e legumi, e dice: “questo è riso, questo è grano, queste sono lenticchie, eccetera”. Quindi è un esame “clinico” senza nessun implicazione di disprezzo o disgusto. Le parti del corpo sono “impure” probabilmente alludendo solo al loro aspetto di impermanenza. Diversi insegnanti che ho frequentato affermavano che è vero che il corpo è un ammasso di impurità, se visto nell’ottica dell’impermanenza, ma è altrettanto vero che il corpo è un degnissimo strumento protagonista della nostra vita, meritevole di cure e attenzioni per il suo corretto sviluppo.

E che succede se durante la contemplazione del corpo ci si imbatte, internamente o esternamente in una pelle attraente, o in una bella chioma di capelli? Si può praticare il secondo Satipatthāna (di cui parlerò in post futuri), la consapevolezza delle sensazioni piacevoli, magari etichettando la propria percezione (bei capelli). Se si vuole, ogni esperienza è una occasione di pratica. Tra qualche giorno pubblicherò il proposito delle parole di Ajahn Chah.

lunedì 3 novembre 2014

4. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

     Le posizioni e le attività del corpo.
Il discorso prosegue con l’indicazione di focalizzare la propria consapevolezza sulle posizioni e sulle attività del corpo. Per l’esattezza, il Buddha dice che quando il praticante cammina, sta in piedi, seduto o sdraiato “egli sa” di esserlo. Usa invece l’espressione (di equivalente significato) “egli agisce con chiara conoscenza” per indicare la consapevolezza durante le seguenti azioni: andare avanti e indietro; guardare davanti e guardare lontano; flettere ed estendere le proprie membra; indossare il saio, portare il saio esterno e la ciotola delle elemosine; mangiare, bere, consumare il cibo e gustarlo; defecare e urinare; camminare, stare in piedi, addormentarsi, svegliarsi, parlare e stare in silenzio.
Insomma, l’esortazione è chiaramente volta a stabilire uno stato di consapevolezza continua. Anzi, molti commentatori sono concordi nel dire che la consapevolezza su posizioni e attività trova il suo posto più naturale all’inizio della pratica (cosa del resto che si riscontra in una versione cinese del Satipatthāna Sutta). Cioè, una volta consolidata la consapevolezza del corpo nelle sue posizioni e attività, il praticante può approfondire la pratica con l’attenzione sul respiro nella meditazione seduta. Si può immaginare che la versione Pāli riporta il respiro all’inizio per sottolineare la centralità di questa pratica, che di fatto costituisce per molti l’asse portante della vita spirituale. La consapevolezza del respiro è una pratica senza dubbio più sottile e mentre il corpo offre un ancoraggio all’attenzione più solido e concreto.
Questo passo rappresenta una sorta di fondazione della meditazione camminata, pratica molto diffusa tra monaci e laici anche ai tempi del Buddha. Va detto, per fedeltà alla lettera dei testi, che nei discorsi non compare mai l’enfasi di molti maestri moderni sui dettagli percettivi dell’atto del camminare. Infatti molti Sutta sono piuttosto interessati all’aspetto mentale della camminata consapevole che, viene detto, favorisce la concentrazione ed è utile per purificare la mente e superare i 5 ostacoli (su cui torneremo più avanti). Già i commentari antichi esortavano però i praticanti a suddividere mentalmente le varie fasi del camminare per etichettarle e prestarvi così più facilmente attenzione.
Molte delle azioni menzionate in questa sezione del Satipatthāna Sutta sono chiaramente delle esortazioni rivolte ai monaci per una condotta buona e appropriata. Stabilire una base di consapevolezza in questi aspetti della loro vita aveva anche lo scopo di dare quel fondamento morale che, insieme alla moderazione e al contentarsi, costituiscono i requisiti di base per la pratica della meditazione.
Però, con occhi moderni e laici, non si può fare a meno di vedere nelle parole di questo Sutta la risposta a tante istanze con le quali i praticanti cercano di migliorare, e anche rendere più accettabile, la propria vita quotidiana. Anzi, queste raccomandazioni di “consapevolezza nelle azioni di tutti i giorni” sembrano prese dalle istruzioni di un “protocollo Mindfulness” ante litteram. Naturalmente togliere “il pilota automatico” e riappropriarsi della propria vita tramite l’attenzione consapevole è una cosa meravigliosa che non può che far bene a chi si impegna in tal senso. Ma proprio nel “refrain” di cui ho parlato nel post precedente possiamo vedere una differenza irriducibile tra l’atteggiamento “Mindfulness” e il contenuto del Satipatthāna Sutta. Infatti il testo dice: “La consapevolezza che ‘c’è un corpo’ è stabilita in lui nella misura necessaria per la pura conoscenza e la consapevolezza continua”, cosa che può sembrare fine a se stessa ma che non lo è, se si inquadra questa pratica in un’ottica più ampia di conoscenza intuitiva della realtà dei fenomeni, conoscenza che sola può trasformare se stessi. Mentre l’essenza stessa di Mindfulness è una utilità pratica immediata o per lo meno concreta e riscontrabile nella diminuzione della sofferenza dell’utente. Tutte cose buone, basta che siano chiari gli obbiettivi, gli ambiti di applicazione, i percorsi.

Per lo meno questa è la mia opinione, ed essendo questo un blog aperto, chiunque può lasciare un commento o una domanda alla quale sarò felice di rispondere.

lunedì 27 ottobre 2014

3. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

Il “ritornello” (refrain).
Al termine di ognuno dei 13 esercizi, nel discorso vengono riportate delle parole sempre identiche, con la sola eccezione del termine che si riferisce al Satipatthāna in questione, vale a dire corpo, sensazioni, mente o dhamma. Gli autori inglesi usano per questa parte del discorso il termine “refrain”, che in italiano va reso con, ahimè, “ritornello”.
Vale la pena riportare per intero il ritornello che segue la sezione “respiro”, tenendo conto che da queste parole si possono trarre importanti indicazioni su come accostarsi correttamente alla pratica della meditazione di consapevolezza.
“In questo modo, riguardo al corpo, egli dimora contemplando il corpo internamente, o dimora contemplando il corpo esternamente, o dimora contemplando il corpo sia internamente sia esternamente. Egli dimora contemplando la natura del sorgere del corpo, o dimora contemplando la natura del cessare del corpo, o dimora contemplando la natura sia del sorgere sia del cessare del corpo. La consapevolezza che ‘c’è un corpo’ è stabilita in lui nella misura necessaria per la pura conoscenza e la consapevolezza continua. Ed egli dimora indipendente, senza attaccarsi a nulla nel mondo.
Così è come, riguardo al corpo, egli dimora contemplando il corpo.”
Nel ritornello possiamo individuare quattro elementi principali che esaminerò qui di seguito:
  •           Internamente / esternamente
  •      Sorgere / cessare.
  •      Pura conoscenza e consapevolezza continua.
  •      Indipendente, senza attaccarsi.

Interno / esterno: l’interpretazione che i commentari antichi danno di questo punto suggerisce che l’osservazione di tutti i Satipatthāna va portata su di sé e sugli altri che incontriamo. Questo si può capire immediatamente per quanto riguarda il corpo, meno per altri fattori come le sensazioni, la mente, i dhamma. Però si può intendere che l’attenzione venga portata, quando si ritiene opportuno anche su quei “sintomi” psicofisici che ci fanno comprendere se chi abbiamo di fronte stia bene o meno, quale sia lo stato della sua mente, eccetera. L’espressione ”sia internamente sia esternamente”, però, suggerisce che questa istruzione possa avere come obbiettivo la constatazione che in ognuno di noi si manifestino, influenzati da determinate cause e condizioni, degli stati anche al di là di qualsiasi determinazione personalistica. Se il mio o il tuo respiro è alterato perché sono o sei preda di una forte emozione, piuttosto che il contenuto si può osservare il meccanismo, che prescinde da me o da te. La consapevolezza dei Satipatthāna sia internamente che esternamente può quindi sostenere una profonda intuizione del non-sé. Altre interpretazioni moderne affermano che internamente / esternamente possano riferirsi a mente e corpo o a organi interni – pelle.
Sorgere / cessare. Con queste parole il Buddha offre una chiara istruzione per la comprensione diretta della impermanenza tramite la consapevolezza. Il fatto che ciò sia presente nel ritornello, e che quindi sia ripetuto 13 volte nel discorso, può far affermare che la pratica del Satipatthāna abbia come principale modalità / scopo la penetrazione intuitiva di questa, conosciuta, insieme al fatto che i fenomeni siano insoddisfacenti e che la loro natura sia non-sé, come “caratteristica dell’esistenza condizionata”.
Pura conoscenza e consapevolezza continua. L’invito è qui a non identificarsi con nulla: la pratica è quella dell’osservazione di un fenomeno, e non di un contenuto. La terminologia usata è quella del discorso diretto. “Si stabilisce che c’è un corpo” va intesa come un’affermazione che nella sua disarmante semplicità spiega la conclusione empirica cui si giunge con la contemplazione: la chiara visione delle cose così come sono, senza interferenze mentali, emozionali o sensoriali. Non è prescritto un completo abbandono delle facoltà concettuali, se esse sono messe al servizio della consapevolezza. Un abile uso dell’”etichettatura”, come descritto in un precedente post, può servire allo scopo di stabilire un sano distacco dall’oggetto osservato. Ma ogni strumento verbale-concettuale va tenuto al minimo, essendo l’orientamento generale quello della “pura conoscenza e consapevolezza continua”: si conosce per esperienza diretta e la mente si limita ad osservare senza scatenare le sue consuete strutture reattive. Ad un certo livello di pratica, la consapevolezza è fine a se stessa, essendo un puro atto (azione-non azione) di conoscenza della verità. Per questo il praticante sarà indipendente e senza attaccarsi a nulla nel mondo. “Indipendente”, secondo i commentari antichi, significa privo di attaccamento ad opinioni e cose materiali.
Riassumiamo dando uno sguardo d’insieme.

Il Ritornello indica che l’attenzione consapevole, ancorata ad un determinato Satipatthāna, si rivolge anche e forse soprattutto al meccanismo della percezione-conoscenza. I 4 punti che ho citato oggi esortano a vedere l’oggetto non come mio/tuo (1), viene visto nella sue 3 caratteristiche essenziale di impermanenza, inefficacia (unsatisfactoriness, dukkha), non sé (2), si afferma che ci si interessa ad esso al solo scopo della coltivazione della consapevolezza (3), e dall’osservazione non deve derivare alcun attaccamento (4). Quindi nessun intervento logico o elaborativo nei contenuti dell’osservazione, siano essi relativi a pensieri, sensazioni, emozioni, sentimenti o percezioni, quanto una contemplazione diretta o intuitiva dei fenomeni così come si presentano. Alle volte non è così facile cogliere il senso di una tale semplicità, e anche in questo il sostegno di un’insegnante è essenziale a sfrondare fraintendimenti e complicazioni autoprodotte.

giovedì 23 ottobre 2014

2. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

IL RESPIRO (2)

A questo punto il Buddha esorta con semplicità ad inspirare ed espirare consapevolmente. “Consapevolmente”, come mi disse una volta un insegnante, significa “consapevolmente”, e mai come in questo caso è bene avere il coraggio di accostarsi a questo argomento in modo chiaro e lineare. “Consapevolmente” vuol dire sapere che si sta respirando. Sapere che in questo momento, qui in questo corpo avvengono, secondo le modalità che percepisco, l’inspirazione, l’espirazione e volendo anche le pause tra l’una e l’altra. Non significa pensare al respiro, né influenzare volontariamente in alcun modo la sua durata o profondità. Non significa, necessariamente “fare il vuoto mentale”, qualsiasi cosa questa espressione possa significare. Il Satipatthāna Sutta prescrive la consapevolezza, non il vuoto mentale, e la consapevolezza è il “Sentiero diretto verso la realizzazione”. Vedremo ora e anche  più avanti come una attività mentale discorsiva, negli opportuni modi, possa entrare in gioco nella pratica del Satipatthāna. Specialmente i primi tempi, molti insegnanti suggeriscono di “etichettare” mentalmente le fasi del respiro con parole che possano funzionare da ancoraggio all’attenzione: inspiro – pausa – espiro, eccetera, per fare un esempio. Questa pratica va poi abbandonata non appena la mente sia sufficientemente stabile, ma non va considerata un ripiego a causa della labilità del proprio raccoglimento, ma è un mezzo abile per creare una sinergia tra mente operativa al servizio della mente contemplativa.
Nel secondo dei quattro punti, il Buddha invita a “sapere” che inspirazione ed espirazione sono lunghe, se sono lunghe o che sono brevi, se sono brevi. Di nuovo, solo sapere che cosa accade, non tentare di regolare volontariamente la durata del respiro. Nel discorso viene citato prima il respiro lungo e poi quello breve, e questo sicuramente riflette il progressivo e naturale accorciarsi della durata del respiro via via che calma fisica e mentale aumentano. Durante la pratica, però, le cose non vanno in modo lineare, e ci si può accorgere che il respiro viene in qualche modo ostruito o anche solo condizionato dalla posizione del corpo, troppo tesa o al contrario priva di tono o anche asimmetrica. Il mio consiglio è quello di cercare con piccoli aggiustamenti di sedersi nel modo più corretto possibile, tenendo conto che sensazione di peso e contatto col terreno, il giusto tono energetico, il rilassamento e una prolungata immobilità sono i fattori corporei che contribuiscono in modo sostanziale ad una buona pratica. La meditazione di consapevolezza è sempre molto radicata nel corpo. Ricordiamoci che il Sentiero del Buddha è chiamato “la via di mezzo” tra il troppo rigore e l’eccessiva rilassatezza. Il confronto con un praticante esperto è il modo migliore per affrontare queste possibili difficoltà.
Il terzo e quarto passo della consapevolezza del respiro sono: fare (respirando) esperienza di tutto il corpo ed il calmare (respirando) le formazioni corporee, vale a dire il corpo nella sua potenzialità di azione.
Mentre per quanto riguarda la consapevolezza del respiro e della sua lunghezza il Buddha usa le parole “egli sa” (per esempio: “egli sa: la mia inspirazione è lunga”), per i due punti successivi l’espressione usata è “egli si esercita” (per esempio: “egli si esercita così: io inspiro facendo l’esperienza di tutto il corpo”). Probabilmente ciò è dovuto ad un più alto grado di raffinatezza dell’esercizio proposto, ma ci sono anche altre possibili considerazioni. Se generalmente i commentari antichi spiegano il terzo punto (respirando fa esperienza del corpo intero) come un invito a focalizzare l’attenzione sull’intero processo della respirazione (vedi l’espressione antica “il corpo della respirazione”), è anche vero che la mia esperienza, insieme ad alcune esortazioni ricevuta da diversi maestri, mi suggerisce che non esista in realtà una incompatibilità tra attenzione focalizzata e attenzione diffusa. Nel momento in cui la pratica e incentrata sulla consapevolezza, e non sulla concentrazione, sta di fatto che tanto più la mia attenzione, mentre respiro, è diffusa in tutto il corpo, quanto più chiaramente e tranquillamente una parte di essa si “aggancia” ai dettagli del respiro. Non saprei dire perché è così, ma di sicuro la meditazione abitua a questi paradossi che possono essere “compresi” solo dalla visione della mente contemplativa. In questo tipo di attenzione, si può stare anche a lungo su un oggetto di attenzione senza sperimentare il senso di sforzo e chiusura insito nella concentrazione.
La mente contemplativa, osservando il respiro, si svincola dalle connessioni ordinarie di “agente e azione” (la meditazione accade, non sono “io” a farla). Quindi la mente e il corpo non agiscono e di conseguenza si calmano. L’esperienza del corpo che diventa calmo respirando consapevolmente conclude la sezione del Satipatthāna Sutta dedicata al respiro.

Il discorso prosegue con il cosiddetto “ritornello” (refrain) vale a dire delle frasi che ritornano sempre uguali al termine di ogni sezione di esso, ma che sono molto importanti per una corretta comprensione della pratica. Ne parlerò nel prossimo post.

lunedì 20 ottobre 2014

Incontro gratuito di meditazione - Ottobre

Condurrò il prossimo incontro di meditazione domenica 26 ottobre alle 10 al Centro Yoga di via Vegezio 6 (Roma Balduina). Scrivetemi o telefonatemi (recapiti su homepage del blog) per qualsiasi informazione.

domenica 19 ottobre 2014

1. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

IL RESPIRO (1)

Il Satipatthāna Sutta inizia affermando che i 4 Satipatthāna, cioè i 4 modi ivi descritti di “essere nella consapevolezza”, costituiscono il “sentiero diretto” per la purificazione, per il superamento della sofferenza, per appropriarsi del “vero metodo”, per la realizzazione del Nibbāna. Ci vorrebbero molte pagine per illustrare tutto questo e ogni frase e anzi, ogni parola del Discorso si presta ad interpretazioni e approfondimenti. Chi è interessato potrà trovare molto materiale nella bibliografia di questo Blog (soprattutto chi è i grado di leggere in inglese), mentre qui vorrei concentrarmi su indicazioni riguardanti la pratica. Il Buddha enumera i 4 Satipatthāna: il corpo, le sensazioni, la mente e i dhamma, intendendo con quest’ultimo termine delle qualità mentali e un’analisi della realtà svolta secondo determinate categorie. Le vedremo più avanti.
Le contemplazioni del corpo sono sei e la prima concerne il respiro. Che indicazioni da il Buddha a riguardo, al di là delle mille interpretazioni, versioni e varianti molto diffuse tra i praticanti odierni? Egli si rivolge ai suoi monaci e li esorta ad andare nella foresta, a sedersi a gambe incrociate e il corpo eretto sotto un albero o in una capanna deserta, a “stabilire la consapevolezza di fronte a sé”, e quindi:
  1.       Inspirare ed espirare consapevolmente.
  2.       Essere consapevoli se l’inspirazione e l’espirazione sono lunghe o corte.
  3.       Inspirare ed espirare ed espirare contemplando l’esperienza del corpo intero.
  4.       Inspirare ed  espirare calmando le formazioni corporee.


Va detto che un altro discorso, l’Ānāpānasati Sutta, parla di altre 12 “tecniche” relative al respiro, per un totale di 16. Esaminiamo comunque i 4 punti del nostro discorso e le relative premesse.

I tempi e le circostanze attuali sono quelle che sono e ognuno potrà valutare per sé i requisiti di solitudine richiesti (solitudine, anche a quei tempi, bilanciata dalla comunità dei monaci), e anche l’ineluttabilità del fatto che si parla di posizione seduta a gambe incrociate col corpo eretto. Risulta comunque chiara l’importanza che il Buddha assegnava alla meditazione formale seduta.
Per quanto riguarda l’istruzione “stabilisce la consapevolezza di fronte a sé”, ne è stata data una interpretazione letterale e una figurata. La prima ritiene che il Buddha alludesse al fatto che l’area tra le narici e il labbro superiore sia la più adatta per stabilirvi l’attenzione all’aria che entra ed esce. Questo solleva un punto molto importante: la pratica della consapevolezza del respiro implica un’attenzione estremamente empirica. Non si segue l’idea del respiro, non è un adeguare il respiro ad un ideale di corretta fisiologia più o meno sottile, bensì è l’attenzione alle sensazioni fisiche causate dai movimenti della respirazione. Le indicazioni più comuni formulate da diversi insegnanti sono:
  •  Come già detto, la sensazione causata sulla pelle delle narici e della zona tra il naso e il labbro superiore dall’aria fresca e secca che entra durante l’inspirazione e dall’aria calda e umida che esce durante l’inspirazione.
  • Le sensazioni tattili dell’addome che si espande durante l’inspirazione e che si contrae durante l’espirazione.
  • L’intero processo della respirazione, comprendente le sensazioni del volto, del torace e dell’addome, ed eventualmente altro.

Ricordo però che i Discorsi del Buddha e i Commentari antichi, per quel che mi risulta, parlano esclusivamente della zona labbro superiore-naso.
L’interpretazione figurata può intendersi come un invito a praticare la consapevolezza in modo fermo e risoluto, senza nessuna indicazione “anatomica”.
Come regolarsi di fronte a questa pluralità di istruzioni, presente soprattutto tra gli insegnanti moderni? Con la pratica, innanzi tutto, con la sperimentazione diretta e, ove possibile, con un rapporto costante per lo meno con un praticante più esperto con cui parlare e chiarire dubbi. Infatti questa pratica può sembrare quasi disarmante nella sua semplicità, e in un certo modo lo è, ma la nostra mente può creare molti problemi, come ad esempio una smania di differenziare la sperimentazione senza darsi la possibilità di approfondire l’esperienza. Cosa che, prima o poi, va fatta.

Per oggi mi fermo qui, il prossimo post sarà relativo alle 4 modalità di attenzione al respiro elencate poco sopra.

giovedì 9 ottobre 2014

Annunci

Primo annuncio: la pagina Bibliolink è ultimata e consultabile.

Secondo annuncio: Ho deciso di prendere un impegno con chi desidera seguire questo blog. Vorrei cioè esporre con dei post di cadenza settimanale o giù di lì i 13 "esercizi" descritti dal Buddha nel Satipatthana Sutta. In questo discorso il Buddha delinea delle modalità di applicare la consapevolezza durante la meditazione. Alcune di esse sono assai note e praticate, come la consapevolezza del respiro e del corpo, altre meno, per questo ritengo utile illustrarle brevemente basandomi sulla mia esperienza, sugli insegnamenti che ho ricevuto e con il supporto del libro in inglese di Ajahn Analayo, citato in Bibliolink.
Non voglio con questo colmare una lacuna che tuttavia è presente tra le pubblicazioni in italiano, ma voglio offrire degli spunti di riflessione e, possibilmente, di pratica a chi è interessato.
Magari riusciamo ad integrare queste riflessioni nelle domeniche mattina di meditazione che organizzo nel Centro Yoga di Via Vegezio a Roma.
Per essere costantemente aggiornati dei post sul Satipatthana, il mezzo più pratico e tecnologicamente valido è quello di scrivere la propria email nella finestra qui a destra "segui con l'email". Così facendo si riceveranno le notifiche di tutti i miei post (userò molta moderazione e non intaserò certamente la posta di nessuno!)
Ricordo che il prossimo appuntamento di meditazione a via Vegezio è il 26 ottobre alle 10.

martedì 23 settembre 2014

Meditazione per un clima sano e sicuro

New York, Central Park, marcia per il clima. La Meditazione di Consapevolezza è l'azione più appropriata per promuovere un clima e un ambiente sano e sicuro.

"Quando questo (fenomeno) sorge, quel (fenomeno) sorge. La disponibilità del cibo dipende da un clima stabile". La dottrina del Paticcasamuppada (Coproduzione Condizionata), nella quale il Buddha afferma la concatenazione di tutti i fenomeni a dimostrazione dell'assenza di un Sé stabile, è di ispirazione per una visione ambientalista di largo orizzonte.




lunedì 22 settembre 2014

Che cosa è la meditazione?

Da Ajahn Sumedho: "Oltre la Morte, la via della Consapevolezza". Ed. The corporate Body of the Buddha Educational Foundation (per la libera distribuzione).

(...) Il termine "meditazione" è ampiamente in uso al giorno d'oggi a designare una vasta gamma di pratiche. Nel Buddismo indica due tipi di esercizio, che si definiscono rispettivamente samatha e vipassana. Samatha consiste nel concentrarsi su un oggetto, invece di lasciare la mente a briglia sciolta. Si sceglie un oggetto, ad esempio la sensazione del respiro, e si rivolge tutta l'attenzione alle sensazioni prodotte dall'inspirazione e dall'espirazione. Questa pratica conduce all'esperienza della calma mentale - una tranquillità che è dovuta all'esclusione di tutti gli altri stimoli che giungono attraverso i sensi. (...)
L'altra pratica è definita vipassana, meditazione di "visione profonda". Con la vipassana, il campo dell'attenzione si apre ad abbracciare tutto. Non si sceglie un oggetto particolare su cui concentrarsi e sul quale assorbirsi, ma si osserva per comprendere la natura delle cose. Ora, ciò che possiamo vedere circa la natura delle cose è che l'esperienza sensoriale nel suo complesso è impermanente. Tutto ciò che si vede, si ode, si annusa, si gusta e si tocca, tutte le condizioni mentali, - sentimenti, ricordi e pensieri, sono mutevoli condizioni della mente che sorgono e passano. Nella vipassana ogni esperienza sensoriale osservabile mentre siamo seduti qui è vista attraverso questa caratteristica dell'impermanenza (o del cambiamento).
Non si tratta di un atteggiamento filosofico o di aderire ad una certa teoria buddista: l'impermanenza va conosciuta intuitivamente aprendo la mente all'osservazione, ed essendo consapevoli delle cose così come sono. (...).

domenica 14 settembre 2014

Domeniche mattina di Meditazione a Roma

Benvenuti in questo Blog.
Avverto che la pagina Bibliolink è ancora vuota e verrà completata quanto prima. 

Comunico le date delle domeniche mattina di Meditazione che si svolgeranno al Centro Yoga B.K.S.Iyengar di via Vegezio, 6 (Zona Balduina) a Roma dalle 10 a circa le 12.

28 SETTEMBRE - 26 OTTOBRE - 23 NOVEMBRE - 21 DICEMBRE

Gli incontri sono gratuiti e possono prendervi parte tutti senza nessun vincolo di partecipazione. Nelle pagine di questo Blog ci si potrà fare un'idea di che cosa propongo in queste domeniche.

Per contattarmi si possono trovare i miei recapiti nella Homepage del Blog. 

Scrivendo il proprio indirizzo nella casella qui a destra "segui con l'email" si riceveranno le notifiche dei post appunto per email. Prevedo che il traffico sarà moderato, quindi ci si può iscrivere tranquillamente.

Buona meditazione a tutti!!