sabato 26 novembre 2016

Incontro gratuito di Meditazione - Metta

Nell'ultimo incontro di meditazione prima di Natale al Centro B.K.S. Iyengar di Via Vegezio 6 a Roma Balduina il 4 dicembre alle 10 proporrò una meditazione di Metta o Gentilezza (l'inadeguatezza della traduzione in questo caso è particolarmente dolorosa).
Nella introduzione parlerò delle Quattro Dimore Divine dell'insegnamento del Buddha, gli stati mentali che trascendono la mente ordinaria.
Oltre alla Metta, la Gentilezza descritta con una terminologia negativa come non-avversione, troviamo la Compassione che ci ricorda la nostra fragilità, la Gioia Compartecipe, che è uno stato di innocenza opposto all'invidia e alla gelosia, e l'Equanimità, coltivando la quale comprendiamo la legge di causa ed effetto (spesso chiamata Karma) e cominciamo ad aprirci alla comprensione del non-sé.
Se Natale è solamente addobbare l'albero e sentirsi buoni, le Quattro Dimore Divine vanno molto più in là: sono degli stati mentali attraverso i quali anche la relazione con gli altri e con il mondo entrano a tutto diritto nel nostro sentiero di Liberazione.
Se qualcuno intende partecipare, consiglio di andare a votare dopo: la pratica della Metta può avere un buon effetto sulla mente!!

domenica 13 novembre 2016

Pratica, consapevolezza, pensieri

Durante il periodo di condivisione e domande dell'ultimo incontro di Meditazione svolto al Centro BKS Iyengar di Roma, è venuto fuori un argomento di non facile soluzione, riguardo al quale le indicazioni dei testi e dei maestri sono quanto meno varie.
La questione in due parole è questa: quando durante la meditazione sorgono dei pensieri, devo farli oggetto di consapevolezza e semplicemente accompagnarli alla fine? Devo "entrare nel merito" di essi e occuparmi della loro natura e dei loro contenuti? Devo"curare" eventuali "mancanze", tendenze non corrette, origini oscure, devo prefiggermi quindi un intento "diagnostico" e "terapeutico"?
La risposta non è semplice e dipende da molti fattori, soprattutto dalle caratteristiche della propria pratica, del tipo di indagine che si porta avanti in un determinato momento, dal proprio livello di approfondimento tanto a livello dottrinale quanto a livello di raccoglimento.
Con un notevole tasso di "sincronicità" mi è arrivato da qualche giorno l'avviso di un nuovo post nel Blog di Letizia Baglioni, che leggo sempre volentieri. Letizia, che incontravo spesso al Monastero Santacittarama alcuni anni fa, prima che si trasferisse nel Nord Italia, ha un curriculum di tutto rispetto ed è senz'altro una voce autorevole nel panorama del Buddhismo Theravada italiano.
Oltre a consigliare tutti di frequentare il suo blog, propongo a chi sia interessato ad approfondire l'argomento di Pratica, consapevolezza e pensieri, di leggere l'ultimo post di Letizia che troverete a questo link: https://letiziabaglioni.com/2016/11/11/il-setacciatore/ . Il post poi contiene un altro link alla traduzione di un secondo Discorso del Buddha (Letizia è nota per la maestria e l'affidabilità delle sue traduzioni) che chiarisce ancora di più l'oggetto di questo post: https://letiziabaglioni.com/2015/05/29/due-tipi-di-pensiero/ . 
Il combinato di questi due discorsi è molto illuminante: ci sono diversi tipi di impurità (per restare nella metafora del setacciatore d'oro) nei propri pensieri, e a seconda del momento la propria attenzione e il proprio lavoro va rivolto ora in una direzione ora nell'altra, quindi a volte anche nel merito dei pensieri. Ma occorre ricordarsi che troppo riflettere stanca il corpo e la mente di un individuo stanco non può raccogliersi facilmente. E' quindi necessario creare le condizioni per una consapevolezza più raffinata e trasparente. Trovo la metafora del vaccaro in diverse stagioni dell'anno particolarmente illuminante.
Forse questo è il punto, e diciamolo pure a chiare lettere, una difficoltà della pratica della Meditazione di Consapevolezza: comprendere quel è la propria situazione, la propria necessità per applicarsi in un lavoro proficuo. Invito a stampare i due discorsi, a metterseli sul comodino e rileggerli ogni tanto senza superficialità, cercando di digerire per bene ogni parola. Nulla è stato detto "tanto per dire" e quelle parole riguardano ognuno di noi. E poi, soprattutto, a parlare della propria pratica con qualcuno che ne sa più di noi.

giovedì 3 novembre 2016

Benefici Collaterali

Al Centro Yoga Samsara di Roma Monteverde ho da poco dato il via a delle sessioni di meditazione che sono rivolte ad un gruppo costituito per la maggior parte di principianti assoluti. Una splendida sfida!
Durante il primo incontro ho dato dei ragguagli storico-geografico-dottrinali per chiarire cosa fosse la meditazione che propongo. Nel secondo incontro, proprio per incoraggiare i nuovi, ho parlato di “benefici collaterali” cioè di quei miglioramenti che, a volte di proposito a volte meno volontariamente, la pratica costante della meditazione favorisce nella nostra vita.
Ho detto come la consapevolezza sia usata addirittura in situazioni cliniche (spesso nella forma del costrutto Mindfulness) per risolvere situazioni di stress, ansia e depressione. Ma anche che piccole ansie, stress e depressioni, quelle che a volte prendono ognuno di noi trovino giovamento nell’essere illuminate dalla luce della pratica.
Ansia e stress hanno il loro grilletto nel meccanismo di fuga o combattimento che ci portiamo dentro da quando abitavamo nelle caverne e la nostra vita dipendeva da una rapida attivazione del nostro organismo. Ma ora non ci sono più grandi predatori attorno a noi e il nemico è il traffico, il capufficio, gli orari, il barcamenarsi in relazioni complesse. Le emozioni forti e negative bypassano la parte più evoluta del nostro cervello e le parti più antiche, più “animali”, accendono, e ahimè tengono accese le risposte a livello fisico: cuore, pressione, respirazione, temperatura corporea. Se non riusciamo a spegnere tutto ciò, siamo stressati. Se continuiamo a rimuginare scenari futuri catastrofici saremo in ansia. Se tutto ciò ha come risultato una spirale di pensieri ed emozioni negative, cadremo in depressione.
La consapevolezza può aiutarci a scongiurare l’ineluttabilità di questi meccanismi. La meditazione può darci la buona abitudine di creare quel minimo spazio tra noi e quello che ci turba. Qui sono io, lì c’è il capufficio e in mezzo c’è uno spazio nel quale io posso sentire il mio corpo, il mio cuore, la mia mente, vedere come il turbamento ha determinate cause che posso condividere o meno, combattere o accettare, ma sicuramente tenere ad una distanza di sicurezza. Posso lavorare sulle mie alterazioni fisiche. Posso mettere in discussione il lavorio automatico e proliferante della mente. Posso trovare dei sostegni e uno sbocco di positività alle mie emozioni.
Ho trovato su un sito americano, Mindful.org, due elenchi molto pragmatici che vorrei riportare qui di seguito.
Il primo enumera alcune cose che la pratica della consapevolezza esige da noi perché sia efficace, in particolare nella sua applicazione nella trasformazione della nostra vita:
  1. Intenzione. Dobbiamo voler risolvere le nostre difficoltà, con impegno, pazienza e costanza. E questo non è sempre ovvio.
  2. Mente da principiante. Accostarci alle nostre difficoltà, e anche a noi stessi, da una prospettiva sempre fresca e nuova, anche con curiosità, abbandonando pregiudizi e abitudini mentali.
  3. Pazienza. La madre di tutte le qualità. Il concedersi tempi lunghi offre innumerevoli risorse.
  4. Riconoscimento. Potrebbe essere l’aspetto cognitivo della consapevolezza, che a rigor di termini è semplicemente un’esperienza quanto più diretta possibile. Ma se vogliamo consciamente trasformare la nostra vita dobbiamo chiamare la nostra esperienza (ansia, stress, angoscia, gioia, eccitazione, disperazione) col proprio nome.
  5. Non giudizio. Il giudizio è invece un eccesso di esercizio delle facoltà cognitive, spesso un etichettare con termini emotivamente significativi un’esperienza dalla quale ci vogliamo difendere. L’ansia è ansia, non è un orrendo mostro. E incontrarla con semplicità nei suoi aspetti di corpo-cuore-mente è l’inizio del lavoro.
  6. Fiducia. Piano piano si impara che il lavoro dà frutti, e allora si lavora più volentieri.
  7. Compassione di sé.  per quanto sembri, il lavoro della consapevolezza non è neutro, ma è positivo. E ricordarsi della prospettiva di “bene” verso se stessi è importante nei momenti difficili.

Se lavoriamo alla consapevolezza tenendo presente questi sette punti, avremo dei benefici, come dice il secondo elenco:
  1. Diventerò più consapevole dei pensieri, e imparerò, quando necessario, a distaccarmene e a prenderli per quello che sono, senza scatenare circuiti mentali e fisici negativi.
  2. Diventerò meno reattivo, imparando a infrapporre una pausa tra lo stimolo e l’azione.
  3. Si passa dalla modalità “fare” alla modalità “essere”. Il fare non è più una esigenza compulsiva e si riscoprono i benefici del semplicemente “essere”.
  4. Sarò più sensibile alle esigenze del corpo.
  5. Sarò più consapevole delle emozioni degli altri.
  6. Cura e compassione per sé e per gli altri aumenteranno.
  7. Sarò più capace di concentrazione e focalizzazione.
  8. Il mio atteggiamento nei confronti della negatività cambierà. Meno fughe, meno ansia, meno reazione. Più profondità, più obbiettività, più compassione.