Durante l'ultimo incontro di meditazione da me tenuto al Centro Yoga BKS Iyengar di Via Vegezio a Roma, ho distribuito un testo di Buddhadasa Bhikku (nella foto) che ho trovato nello splendido blog
www.esseredhamma.wordpress.com.
L'intento era suscitare una riflessione nei partecipanti che poteva suonare così: in che modo questo testo riguarda la mia pratica della meditazione e lo sviluppo della consapevolezza nella mia vita? Questo blog può essere usato per condividere riflessioni e porre domande.
Il pregio del testo è di andare dritto al sodo di un punto centrale nell'insegnamento del Buddha: la consapevolezza nel processo di percezione e del condizionamento che può conseguirne e di regola ne consegue. Propone la difficile dottrina del Paticcasamuppada o generazione condizionata in un modo straordinariamente efficace e poco accademico; e ne fa conseguire subito delle considerazioni sui Pancupadanakkhanda (Cinque aggregati dell'attaccamento).
Sarò più che felice, nei limiti delle mie possibilità, di fornire chiarimenti a chi lo chiederà.
ABC DEL BUDDHISMO di Buddhadasa Bhikkhu
Scritto
reperito sul blog esseredhamma.wordpress.com
Amici! So
che siete interessati allo studio e pratica della via buddhista per superare i
problemi della vita, che potremmo riassumere in: nascita, malattia, decadimento
e morte.
Vorrei
perciò aiutarvi a comprendere questo argomento, in accordo alle mie capacità;
Così dovrete
stare molto attenti, e cercare di comprendere ciò che sto tentando di dirvi. Vi
è stato detto che il Buddha risvegliandosi scoprì il Dhamma; Oggi vorrei
parlarvi di quel Dhamma scoperto dal Buddha al momento del risveglio. Quel
Dhamma è definito “la legge di natura” o la legge di causa ed effetto (Idapaccayata).
Il termine
‘legge’ è grossomodo equivalente al termine Thailandese ‘gote’. In Thailandese
diciamo ‘gote idapaccayata’. Comunque sia, il termine Thailandese gote
ha un significato più vasto del termine legge.
Nonostante
ciò, utilizzeremo lo stesso questo termine, in quanto è il termine più
comunemente usato nelle traduzioni. La legge naturale è ciò che c‘è di più alto
nel Buddhismo. Il Buddha si risvegliò a questa legge. Egli disse che tutti i
Buddha, quelli del passato, così come quelli del futuro, elogiarono ed
elogeranno questa legge del Dharma.
Questa legge
è dotata di sei qualità che sono anche gli attributi del Dio delle religioni
monoteiste, ovvero le caratteristica di:
1.Creare,
2.controllare,
3.distruggere,
4.onnipotenza,
5.onnipresenza,
6. onniscenza.
Nei sistemi
monoteisti, colui il quale possiede queste sei qualità è detto Dio; noi
Buddhisti abbiamo questa Legge naturale come entità suprema, e guardiamo a
questa legge come all’entità suprema dotata di queste sei caratteristiche.
Questo è l’unico Dio accettabile dagli scienziati moderni. E’ la Legge
naturale creata da nessuno.
Se c’è
qualcuno o qualcosa che crea qualcosa, quella non è la legge, non è il
gote, nel senso che questa parola ha in Thailandese, specialmente non è la
legge dell’Idapaccayata. Questa legge è unica e include tutte le altri
leggi, – tutte le leggi naturali- non le leggi create dall’uomo. Questa legge è
insita in ogni atomo di cui è composto sia il nostro universo che gli altri
universi, sia in senso fisico che mentale.
Dobbiamo
conoscere questa legge in profondità, in quanto tale legge è ciò che governa la
nostra vita ed è la causa tutti i nostri problemi. Gli esseri umani otterranno
felicità o sofferenza agendo in maniera armoniosa o meno rispetto a
questa legge, non attraverso il potere di un Dio personale, e neanche come
risultato delle proprie ‘azioni rituali’o Karma. Ne parleremo nell’ultimo punto
più avanti.
Se ci sarà
pace nel mondo o meno dipenderà dal comportarsi in maniera coerente con
questa legge.Vi invito a riflettere su quanto sto per dire in modo da poter
valutare il potere di questa legge. Supponiamo che tutti gli dei vogliano
punirci. Potremmo superare il loro potere ed essere liberi dalle loro punizioni
comportandoci in accordo a tale legge. Oppure, supponiamo che gli dei vogliano
benedirci. Nonostante ciò, se ci comportiamo in maniera scorretta in accordo
alla legge della causalità, magari perché vogliamo essere felici, non ci sarà
alcun modo in cui noi potremo ricevere le loro benedizioni. Possiamo notare
come questa legge controlli ogni cosa, siano esse cose animate o inanimate.
Tuttavia, i problemi sorgono e si manifestano solo nelle cose animate.
La legge della causalità può essere vista come
l’equivalente buddhista del concetto di Dio creatore delle religioni
monoteistiche. Questo Dio è indescrivibile e inclassificabile. Non possiamo
conoscere “costui” perché non assomiglia a nessuna cosa che conosciamo.
La legge della causalità è la causa fondamentale che sostiene ogni cosa ed in
ogni momento nel nostro universo; E’ ciò che crea sia le cose positive che
quelle negative. Esistono sia risultati positivi che negativi, e tutto a causa
di questa legge naturale. Se “costui” fosse un’entità dotata di propria
personalità, “egli” sceglierebbe di creare solo cose positive. Se non
desideriamo la sofferenza, dobbiamo comprendere la legge di cause ed effetto,
e praticando in accordo a tale legge, otterremo i relativi benefici.
Il modo di
praticare per risolvere tali problemi è detto Dhamma. Il vero problema degli
esseri umani è la sofferenza, individuale e sociale. Gli esseri senzienti
soffrono quando agiscono in contrasto con la legge della causalità
al momento del contatto sensoriale (phassa). Vi invito a
comprendere in profondità questo tema, in quanto esso è l’essenza del Dhamma.
Tutti gli
esseri senzienti incontreranno la sofferenza comportandosi in maniera
disarmonica in riguardo alla legge della causalità al momento del contatto (phassa);
Gli esseri senzienti non incontreranno la sofferenza se si comporteranno in
maniera corretta in riguardo a questa legge; tutto ciò è vero specialmente nel
momento del contatto. Ora esamineremo la legge naturale in dettaglio. Essa
rappresenta l’ABC del Buddha Dharma.
Alle volte è
chiamata Paṭiccasamuppāda. Insieme, idapaccayata–Paṭiccasamuppāda
significa: la legge di causa ed effetto, ovvero l’origine dipendente da
condizioni. In breve diciamo: l’origine dipendente del dukkha.
In questo contesto vogliamo parlare solamente di ciò che concerne il
problema fondamentale di tutti gli esseri viventi, la sofferenza umana e
l’insoddisfazione.
Per
comprendere il processo del condizionamento causale dobbiamo cominciare
prendendo in considerazione gli Āyatana, ovvero le sei basi sensoriali e
i loro rispettivi sei oggetti dei sensi. Gli Āyatana interni sono
gli organi sensoriali: occhi, orecchie, naso, lingua, corpo e mente. Questi
sono dentro di noi. Gli Āyatana esterni sono le forme, i suoni, gli
odori, i sapori, il tatto e le idee o pensieri nella mente.
Notate come
gli occhi entrano in contatto con le forme, le orecchie entrano in contatto con
i suoni, il naso entra in contatto con gli odori, la lingua entra in contatto
con i sapori, il corpo entra in contatto con gli oggetti tattili, e la mente
entra in contatto con le idee. Abbiamo quindi sei coppie di Āyatana.
Cerchiamo di comprendere come avviene il processo di condizionamento iniziando
con la prima coppia, gli occhi e le forme:
Sulla base
dell’interazione fra occhi e forme visive sorge la coscienza visiva. Ora
abbiamo tre cose: l’occhio, la forma e la coscienza o cognizione. Quando questi
tre s’incontrano nasce il contatto sensoriale (phassa). Questo è un
aspetto molto importante da comprendere e studiare, perché Il contatto è il
momento in cui l’ignoranza si può manifestare o meno.
Se ci sono
le condizioni per il manifestarsi dell’ignoranza, le cose andranno nella
direzione sbagliata e ciò causerà il sorgere della sofferenza; tuttavia, siamo
dotati di un’adeguata consapevolezza e saggezza a presidiare il momento del
contatto, non vi sarà alcuna possibilità per l’ignoranza di manifestarsi.
Un tale contatto non potrà essere condizione per il manifestarsi della
sofferenza. Dobbiamo studiare, praticare ed addestrarci in modo da avere
consapevolezza e saggezza da impiegare esattamente al momento del
contatto.
Ora
spiegherò in dettaglio il processo dell’origine dipendente: Se al momento del
contatto c’è ignoranza, -lo chiameremo contatto ignorante- tale contatto
causerà il sorgere di una sensazione “cieca,” o ignorante; potrebbe essere una
sensazione piacevole o spiacevole, ma comunque ignorante. La chiamiamo
sensazione cieca o sensazione ignorante.
Tale
sensazione (Vedanā) causerà la nascita della sete cieco o sete
ignorante. Con “sete cieca” (Taṇha) intendiamo un desiderare cieco, un
desiderare ignorante, un desiderio erroneo, non un semplice desiderare. Dovete
comprendere tutto ciò. Quando usiamo il termine sete, intendiamo il desiderio cieco,
il desiderio dettato dall’ignoranza, espressione dell’ignoranza.
Questo
sete cieca causerà il sorgere dell’afferrarsi (Upādāna).
L’afferrarsi che sorge dalla sete cieca è esso stesso ignorante.
L’afferrarsi può nascere in relazione a qualsiasi cosa con cui si viene in
contatto, incluso l’interpretazione di questo o quel termine, (punti di vista e
opinioni) o l’afferrarsi a quella cosa come “mia” e a quest’altra cosa come
“Io.”
Dovreste
comprendere cosa sono i cinque aggregati (khanda), perché l’afferrarsi
di cui si parla è un afferrarsi a questi cinque khanda.
Il primo
aggregato è il corpo (rūpa) Quando il corpo è pienamente
funzionante, la mente ignorante ci si attacca considerandolo come il proprio
Io, o come qualcosa di “mio” in altri casi. Così possiamo vedere alcune persone
generare avversione nei confronti del proprio corpo, con cui si identificano;
in altri casi costoro considerano il corpo come esso se gli appartenesse
davvero, come il “mio” corpo. Questo è il primo khanda, l’aggregato
della corporalità.
Il secondo
aggregato è quello delle sensazioni (vedanā). Quando sorge una qualsiasi
sensazione nella mente, la mente ignorante la registra come la “mia”
sensazione, o come Io sono questa sensazione.
Il terzo aggregato è chiamato discriminazione (Saññā). La sua funzione è
di discriminare qualcosa come “questo” o “quello“, come “questi” o “quelli“,
oppure come questa è la “mia felicità“ o la “mia sofferenza,” o come “buono” e
“cattivo.”In alcuni casi, la mente si afferra alla discriminazione percependola
come il proprio Io. In altri casi, la discriminazione è considerata come “mia”,
la “mia discriminazione.” possiamo notare che lo stesso elemento può essere
afferrato in due modi, come colui che agisce o come l’atto in se stesso.
Poi abbiamo
il quarto aggregato soggetto all’afferrarsi, le intenzioni (saṅkhāra)
saṅkhāra in questo caso ha un significato speciale. Letteralmente saṅkhāra
ha il significato di formare, ma in questo contesto specifico indica le formazioni
mentali, i pensieri, le intenzioni. Come verbo saṅkhāroti significa
condizionare, far sorgere, causare. Come pronome ha il significato di
formazione, l’atto del formare.
In questo
caso sta ad indicare il pensare, perché pensare è far sorgere o causare la
nascita del concetto che si sta formando proprio ora nella mente della persona
ignorante.
Così ci si attacca a ciò pensando “Io penso” o “questi sono i miei
pensieri.” dovreste cercare di notare tutto ciò, riflettendo per conto proprio;
osservate come l’afferrarsi lavori in questi due modi.
Ora passiamo
al quinto ed ultimo Khanda, l’aggregato della coscienza (Viññāṇa).
Esso include la cognizione di tutto ciò che entra in contatto con gli occhi, le
orecchie, il naso, la lingua, il corpo e la mente. La persona ignorante si
attaccherà alla coscienza o all’insieme delle coscienze come “questo è il mio
Io”, l’Io che è cosciente, o pensando: “queste sono le mie coscienze”.
Queste sono le due modalità.
Così,
abbiamo in tutto cinque gruppi soggetti all’afferrasi. Potete osservare come
diveniamo attaccati a molte cose, sia dentro che fuori di noi, come ci
attacchiamo ed afferriamo a queste cose. Tutto ciò avviene per mezzo della
mente, come “ Io” o come “mio.” Sono entrambi concetti erronei, che non corrispondono
cioè alla realtà.
In ogni
caso, è solamente attraverso l’ignoranza che i concetti di “Io” e “mio” sorgono
in relazione a tali fenomeni. Ora, torniamo all’afferrarsi che si sviluppa nel
processo di Idappaccayata. Questo afferrarsi causa il sorgere dell’esistenza
(Bhava). Bhava è il venire ad essere di qualcosa, ovvero del
senso illusorio di un Io. Il sorgere del sé o Io è causato dall’afferrarsi. C’è
l’afferrarsi a qualcosa di illusorio tramite pensieri illusori che come
conseguenza causano il venire ad essere illusorio. (bhava). A questo
punto è venuto ad essere un Sé, anche se ancora al suo stadio infantile. Tutto
ciò è chiamato Bhava o divenire.
Il divenire
causa il sorgere della “nascita” (jāti) .A questo stadio il
Sé è pienamente formato e pronto per svolgere la sua funzione: esistere in
quanto ‘Io’, come individuo, come un sé sostanziale. In questo momento c’è
un ‘essere’ quella cosa immaginata come il proprio ‘Sé’ o ‘Io’. A questo
punto, l’Io illusorio è sorto nel processo del sorgere dipendente.
Questo ‘Io’
pensa, agisce e parla in dipendenza dell’afferrarsi. Quindi l’ Io agisce e
parla in maniera ignorante, come ad esempio “questo sono Io” o “questo è mio,”
o anche “ questa è la mia nascita, la mia vecchiaia, la mia malattia, la mia
morte.” Ogni cosa si trasforma in un problema per un tale sé, e questo causa un
sacco di problemi alla mente, cosi che la mente sperimenterà sofferenza ed
insoddisfazione in qualsiasi situazione.
Questo è il sorgere dipendente, il modo in cui si manifesta la sofferenza nella
mente-cuore. In realtà, la sofferenza sorge nella mente, anche se come abbiamo
già detto, si pensa che ciò accada all’ Io.
Comunque, se
abbiamo una consapevolezza-saggezza adeguata, possiamo apportare tale
consapevolezza e saggezza in questo processo nel momento del contatto. Per
mostrare come, ripeteremo l’intero processo dall’inizio.
In
dipendenza dell’interazione fra l’organo visivo ed un oggetto visivo,
sorge una coscienza di tipo visivo. Questi tre insieme causano la nascita del
contatto (Phassa). Ora, una persona dotata di un’adeguata
consapevolezza-saggezza, al momento del contatto, potrà usare tale
consapevolezza-saggezza per governare il contatto. Così sarà un contatto
improntato alla saggezza.
Tale contatto saggio, non produrrà una sensazione ignorante, ma una sensazione
improntata alla saggezza. Siccome la causa è governata dalla saggezza, quel
contatto farà nascere una sensazione saggia (non afflitta). La sensazione
saggia non potrà far sorgere la sete cieca, ma causerà il sorgere di un desiderio
saggio (volizione non afflitta). Dobbiamo distinguere questa modalità da quella
del contatto ignorante. Il contatto saggio o contatto risvegliato farà nascere
una sensazione saggia, sia che l’esperienza sia di tipo piacevole o spiacevole.
Questa è la
sensazione saggia nata attraverso la consapevolezza. Tale sensazione non
causerà la nascita della sete cieca, ma solo del desiderio saggio, che non può
neanche essere chiamato desiderio. Quindi abbiamo il desiderio saggio. Tale
desiderio saggio non può causare il sorgere dell’afferrarsi.
Così non ci
sarà afferrarsi al concetto illusorio dell’“Io” e del “mio,” quindi niente
venire ad essere del sé e niente nascita del sé. Non ci sarà alcun sé, ovvero
niente Io né mio. Di conseguenza, niente potrà venire in contatto con
questo Io, perché senza Io non ci sarà più alcun problema per la mente.
Potete
notare come vi siano due tipi di sorgere dipendente: il primo governato
dall’ignoranza ha come risultato la sofferenza. Il secondo governato attraverso
la consapevolezza-saggezza segna la fine di tutti i problemi.
Questa è la
legge naturale che non è stata creata da nessuno; questa legge si sostiene da
sé.
Dobbiamo comprendere ciò. Questo è ciò che il Buddha scoprì al momento del
risveglio. Egli si risvegliò a questa legge, conosciuta con il Dhamma
supremo, inchinandosi ad essa al momento del risveglio. Consideriamo questo Dhamma,
il Dhamma del sorgere dipendente, come l’entità suprema. Vi invito a
fare esperienza di ciò; questa è la via buddhista per
l’emancipazione da ogni sofferenza.
Ora vorrei
ricapitolare ciò di cui abbiamo parlato. Questo è l’ABC del Dhamma Buddhista.
Ognuno di noi dovrebbe cominciare a studiare e a praticare il BuddhaDhamma
partendo da questo ABC. Imparate dalla vostra vita quotidiana attraverso gli
occhi, le orecchie, il naso, la lingua, il corpo e la mente, mentre questi
stanno svolgendo la loro funzione di vedere, sentire, odorare, gustare, toccare
e pensare.
Non cercate
di imparare queste cose tramite i libri, puntate all’esperienza diretta. Ci
sono il corpo e gli organi di senso che entrano in contatto con le cose
attorno a noi; abbiamo un corpo, occhi, orecchie, naso e lingua, e quindi
dovreste comprendere il loro funzionamento attraverso questi stessi organi.
Se volete
studiare e comprendere il BuddhaDhamma, dovete cominciare studiando queste
cose, il cosiddetto ABC del Buddhismo.
Non cominciate i vostri studi dagli immensi sistemi filosofici pre buddhisti
indiani o in modi simili. Vorrei invitarvi a studiare il BuddhaDhamma iniziando
da queste sei coppie di Āyatana: i sei organi di senso e i loro
rispettivi oggetti sensoriali, nel momento del loro funzionamento nella vostra
vita di tutti i giorni.