domenica 27 dicembre 2015

INDOLENZA E TORPORE

Comunico prima di tutto che il prossimo incontro al centro yoga di via Vegezio sarà il 17 gennaio e non il 10 come comunicato verbalmente.
L’indolenza (in breve uno stato di mancanza di motivazione che annulla o riduce le energie mentali) e il torpore (mancanza di energia fisica che conduce verso la sonnolenza) sono note per essere forse l’ostacolo più difficile quando si incontrano durante la meditazione, tanto che il Buddha se ne è occupato dedicando al problema alcuni passi nei suoi discorsi. Ma la portata di questo ostacolo va anche al di là della pratica della meditazione seduta, in quanto ci interpella sul rapporto tra energia fisica e quella mentale, e in generale sul nostro rapporto con l’energia. Come fare per non arrivare esausti al nostro appuntamento col cuscino della meditazione? A che cosa dedichiamo i nostri momenti migliori, al lavoro, alla famiglia, alla meditazione? Che conseguenze ha investire energia nella pratica spirituale? Essa ha sempre come risultato un incremento della nostra energia psicofisica, o no?
Sono molte le domande che nascono dalla consapevolezza del nostro stato energetico ed essa può a sua volta fornire molte risposte.
Durante l’incontro di meditazione del 20 dicembre scorso ho proposto, verso la metà di un periodo di meditazione iniziato come al solito sul respiro e sul corpo, di “simulare” uno stato di deperimento energetico, chiedendo ai partecipanti di mollare qualsiasi volontà di tenere la schiena sostenuta, e quindi di afflosciarsi curvando la colonna vertebrale e chinando la testa. Com’è stare così? Si sta meglio, o si sta peggio, ci si può restare a lungo, quali reazioni sorgono? In questo stato fisico è poi forse più “coerente” provare ad abbandonare completamente anche le più sottili intenzioni di “tenere” un oggetto di concentrazione, e anche in questo caso si può provare a vedere che cosa succede.
Anche in questo caso le esperienze riportate dai presenti durante il periodo di condivisione sono state le più varie. Senza dubbio perdere il riferimento di un corpo rilassato ma sostenuto può provocare sonnolenza e uno scatenamento della proliferazione mentale, e questo può essere sperimentato come uno spiacevole stato di confusione; per altri c’è soltanto il perdersi in una condizione semionirica, con un “ritornare in sé” tutte le volte che la mia voce dava nuove indicazioni. C’è stato poi il caso di una persona che si è ritrovata in uno stato energetico descritto come più luminoso, in quanto l’indicazione di mollare la presa sull’oggetto di concentrazione aveva provocato un assestarsi di una consapevolezza più tranquilla, meno forzata. Non sono rare, tra i meditanti, questo tipo di considerazioni: se si riesce a sopportare a lungo lo stato in cui è presente la sonnolenza fino a far ciondolare la testa, improvvisamente si può sperimentare lo svanire della stanchezza ed il sorgere di un’attenzione particolarmente viva, rilassata e soprattutto non tesa.
Il discorso dell’energia durante la meditazione viene molto arricchito dalla conoscenza e dall’esperienza dei Sette Fattori del Risveglio, ma di questo se ne può parlare in un’altra occasione.
Il 17 gennaio ci prenderemo una pausa dai 5 ostacoli per dedicarci ad una pratica propria del Focusing. Perché? Da una conversazione casuale con la Maestra Maura Ventrella, leader del Centro Yoga di via Vegezio, si è deciso di dare uno spunto comune, a chi è interessato, nella pratica dello yoga e della meditazione. Nel focusing ci si apre alla percezione del “felt sense” (quel piccolo spunto psicofisico alla base delle nostre inclinazioni mentali e caratteriali) “facendo spazio”, cercando cioè di sgombrare la mente da quei contenuti discorsivi o meno che bloccano la nostra consapevolezza delle inclinazioni più profonde. Alla pratica detta appunto del “fare spazio” (che proporrò nel mio incontro) viene riconosciuta una grande efficacia anche per affrontare vere e proprie patologie fisiche. Maura in un weekend di fine mese (l’annuncio verrà dato tra poco) proporrà un seminario intitolato “Dare spazio”, dove le asana verranno affrontate a partire dalla consapevolezza che ampliando il proprio spazio interno si può incrementarne la naturalezza e l’efficacia. Ma cosa significa “ampliare il proprio spazio interno”? E’ solo un fatto fisico? Al Centro Yoga di via Vegezio gennaio è “il mese dello spazio”.

domenica 13 dicembre 2015

INCONTRO GRATUITO DI MEDITAZIONE - DOMENICA 20 DICEMBRE

Domenica 20 dicembre alle ore 10 al Centro Yoga B.K.S. Iyengar di via Vegezio 6 a Roma (Balduina) terrò l'ultimo incontro di meditazione del 2015. Oltre a farci gli auguri di Natale e di un superprospero 2016 praticheremo la consapevolezza sul terzo dei cinque ostacoli, l'indolenza-torpore.

 Non è necessario prenotarsi, non ci sono formalità, ci sono invece tanti cuscini e coperte per sedersi comodi. Sulla homepage di questo blog ci sono i miei recapiti per contattarmi e chiedermi informazioni. Presto darò le date per gli incontri del 2016.

sabato 12 dicembre 2015

Avversione all'avversione

Il secondo dei cinque ostacoli, l’avversione, è stato il filo conduttore dell’incontro di meditazione del 29 novembre scorso. Ho introdotto il tema ricordando che essa può essere annoverata tra le pulsioni primarie dell’essere umano quasi a livello di specie. Se la cura di se stesso e degli individui più prossimi è alla base di molti sentimenti di vicinanza e di affetto, la paura e l’aggressione sono probabilmente alla base dell’avversione, che mi risulta essere uno stato mentale molto più pervasivo e potente di quanto risulti ad un primo sguardo.

La meditazione che ho proposto e guidato ha ripercorso quella dell’incontro precedente: si parte sempre da un radicamento nel corpo e nel respiro, in modo da potersi aprire a osservazioni più profonde. Ho poi invitato i partecipanti a scandagliare il proprio sistema mente-cuore-corpo per scoprire se nel qui ed ora fossero presenti sensazioni o stati mentali spiacevoli, o pensieri in qualche modo negativi. Invece di relegarli sullo sfondo della propria esperienza, di ignorarli o reprimerli ho chiesto di prestarvi un'attenzione centrata e sostenuta, e sentire che cosa succedeva. E ho chiuso il periodo di meditazione invece chiedendo di pensare deliberatamente a qualcosa o qualcuno che suscitasse avversione (evitando argomenti troppo astratti, lontani o assoluti, come il terrorismo – o i terroristi -, la fame nel mondo o i politici disonesti). Dopo che il pensiero si era formato in termini di immagine, evocazione o altro, ho dato l’indicazione di scandagliare di nuovo il proprio stato, per fare l’esperienza diretta di come la mente negativizzata produca risonanze in tutto il nostro essere.
La successiva condivisione ha molto risentito della negatività dell’argomento. L’avversione produce stati psicofisici negativi anche nostro malgrado. Ormai tutti sono d’accordo nel sostenere che trovarsi in uno stato di avversione, per quanto legittimo, giusto o corretto possa essere percepito, non “ci fa bene”. La consapevolezza tanto degli aspetti fisici quanto di quelli mentali si può rivelare una preziosa risorsa: accorgersi può voler dire cominciare a liberarsi.
Nella pratica della meditazione si incontrano continuamente spunti di avversione, a partire dai vari dolori fisici, e tra i partecipanti c’è stata la consueta varietà di atteggiamenti: la consapevolezza porta sollievo (in genere sciogliendo tensioni muscolari non notate) oppure peggiora la situazione, acuendo la percezione della sofferenza. Nel mezzo ci sono tutte le sfumature possibili. Trattare questo argomento elementare ma profondo necessita una guida in carne ed ossa.
A un certo punto, durante la meditazione, è passata in lontananza una piccola banda di ottoni e percussioni che intonava una medley di canti natalizi. Io ho provato una forte avversione e la mia mente ha cominciato a produrre giudizi sull’impostazione delle armonie e sulle incoerenze ritmiche. Ho potuto comunque seguire lo spegnersi dell’avversione sullo spunto delle considerazioni che io stesso proponevo ai presenti: è solo avversione; la mia è una sovrapposizione condizionata ai semplici suoni che percepisco; posso includere questi suoni e prenderli solo come tali nell’orizzonte della mia percezione / consapevolezza. È stato divertente notare le altre differenti reazioni a questo episodio e molti hanno invidiato la persona che ha chiesto: “musica? Quale musica?”
Una sessione sull’avversione non poteva che concludersi con una meditazione di benevolenza, che è un suo antidoto diretto. Anche in questo caso, Metta significa in primo luogo benevolenza verso se stessi, in quanto vittime della tendenza innata all’avversione verso ciò che sulla base dei nostri condizionamenti ci appare spiacevole.

Prossimo incontro il 20 dicembre alle 10 e sarà il turno di indolenza e torpore.