Il 14 febbraio abbiamo
messo da parte S. Valentino e ci siamo occupati del quarto dei cinque ostacoli,
agitazione e ansia (da tener presente che queste due parole vengono spesso
tradotte in inglese con restlessness and
remorse. Questo stato mentale di “iper-energizzazione” può quindi essere
orientato verso il futuro – ansia – o anche verso il passato – rimorso). Nel
far questo abbiamo tratto vantaggio dall’incontro precedente, nel quale avevamo
praticato il primo passo del focusing, l’esercizio di “fare spazio”. Avevamo
risposto così ad una iniziativa del Centro Yoga che ci ospita, che nel weekend
successivo aveva organizzato un seminario intitolato “Dare spazio”, dedicato a
sviluppare nella pratica delle asana la consapevolezza e lo sviluppo del
proprio spazio interno. “Fare spazio” ci ha consentito di arrivare nella
pratica ad un certo “punto zero” dal quale mettersi in ascolto del sorgere di
quei turbamenti fisici, emozionali o mentali che danno poi luogo all’ansia e
all’agitazione.
Secondo i Sutta, agitazione
e ansia sorgono quando si presta una attenzione inappropriata alla mente
agitata. Agitazione della mente – soffermarsi su di essa – sorgere di ansia e
agitazione, questo è il processo che abbiamo cercato di ripercorrere durante la
meditazione che ho guidato, preceduta come al solito da diversi minuti di
attenzione al respiro e al corpo.
Nel corso della condivisione
sono sorti tre argomenti riguardo ai quali avevo promesso di scrivere qui in
questo blog degli approfondimenti. Ed eccoli qui di seguito.
Il primo argomento
sorge da una domanda specifica: se il Buddha abbia mai suggerito un metodo per
controllare i pensieri. Per quel che ne so, esiste un Sutta nel quale sono
stati illustrati metodi per disinnescare, durante la meditazione, i pensieri negativi
e non salutari connessi con il desiderio, l’avversione e l’illusione. Si
tratta del Vitakkasanthana sutta (sul web non è purtroppo disponibile in italiano, ma si può trovare nel
libro “La rivelazione del Buddha” citato nella pagina Bibliolink di questo blog.
Ecco invece un link per la versione in inglese: http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/mn/mn.020.than.html ) nel quale l’Illuminato elenca 5
modi per riportare la mente in uno stato di quiete, stabilità, unità e
concentrazione:
1.
Porre
l’attenzione ad un oggetto diverso, che sia connesso con ciò che è salutare.
2. Considerare il pericolo insito nei
pensieri negativi e non salutari.
3. Provare a dimenticare e non porre
attenzione ai pensieri negativi e non salutari.
4. Rivolgere l’attenzione alla
pacificazione dell’origine di quei pensieri.
5.
Controllare,
soggiogare e fermare la mente con la mente con i denti stretti e la lingua
premuta contro il palato.
Il Buddha parla solo di
pensieri negativi e non salutari o di tutti i pensieri? Cioè esistono pensieri
che non sono negativi e non salutari connessi con il desiderio, l’avversione e
l’illusione? È difficile rispondere e un argomento del genere va oltre le
finalità di questo blog. C’è anche da dire che il Buddha, proprio nel
Satipatthana Sutta non parla mai di controllare, reprimere o annientare
alcunché, raccomandando di fare oggetto di contemplazione qualsiasi cosa sorga
nella mente. Che cosa fare quindi quando sorgono pensieri non così fortemente
connotati come negativi, e questa è l’esperienza a volte dolorosamente
ricorrente di molti meditanti. Credo che qui io mi debba fermare, in quanto una
risposta valida può essere data solo in uno scambio uno ad uno tra un
insegnante e un praticante. Sono convinto però che:
1.
I
pensieri non vadano né repressi né annullati.
2. I pensieri vadano il più possibile
contemplati.
3.
Non
bisogna nemmeno lasciarsi portare via dai pensieri e passare lunghi periodi di
meditazione a fantasticare o sognare ad occhi aperti. Una buona metafora può
essere quella di fornire due argini nei quali il fiume possa scorrere in modo
ordinato.
Sull’onda di queste
considerazioni voglio consigliare la lettura di un altro discorso, il
Dvedhavitakkasutta (stessa sorte: presente nel libro citato e a questo link in
inglese: http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/mn/mn.019.than.html) nel quale si ribalta l’idea che una
“buona” meditazione sia solo quella nella quale si riesca ad eliminare i
pensieri.
Altro argomento: mi è
stato chiesto in sede quasi privata se la contemplazione di stati mentali quali
l’ansia e la preoccupazione possa portare ad una sorta di sdoppiamento. Sì e
no.
No perché lo stato
mentale della consapevolezza implica la contemplazione di quel che accade nel
proprio sistema mente-cuore-corpo. Nei Sutta il Buddha non ha mai parlato, come
ad esempio nel Vedanta, di un testimone, un Sé più sostanziale del piccolo sé
apparente, che è il vero soggetto della contemplazione. Nella pratica del
Satipatthana un non-sé contempla un non sé. Ma questi sono concetti difficili
da trasmettere attraverso le parole.
Sì perché lo stato
purtroppo comune a molti di noi è quello di una scissione, o alienazione,
condizionata dagli stati di attaccamento, avversione e confusione. Non basta
voler meditare per riunificarsi. Credo di poter dire che non è la
consapevolezza il possibile agente dello sdoppiamento. La consapevolezza è uno
stato mentale sempre salutare e non ce ne è mai troppa. Può essere semmai una
attenzione non corretta ai nostri stati non salutari che può dare la sensazione
di due sé dei quali l’uno osserva l’altro. L’osservazione cioè, per dare la
sensazione di condurre verso uno sdoppiamento, deve avere una carica
affettivo-emozionale tale da indebolire la consapevolezza.
Però, con l’impegno, la
pazienza, la conoscenza del Dhamma, si possono creare stati di unificazione
temporanea che possano servire da guida nella pratica. Il Buddha parla di
questo quando esorta a far cessare, sia pur temporaneamente, i Cinque Ostacoli
e a sviluppare i Sette Fattori del Risveglio. Quindi uno stato di sdoppiamento,
per quanto legittimamente si possa far sentire, può essere superato nella
chiarezza dei propri intenti e nella correttezza della pratica.
Devo confessare infine
la mia completa ignoranza di argomenti come sdoppiamenti volontari, visioni del
corpo dall’esterno, viaggi astrali e simili.
Infine durante l’incontro,
parlando di contemplazione di stati negativi, ho accennato alla dottrina dei 10
Legami (inglese: fetters). I 10 legami non sono inseriti come gruppo tra gli
oggetti di consapevolezza del Satipatthana Sutta, ma alcuni lo sono
singolarmente. Essi sono:
- Credenza dell’esistenza di un’individualità permanente.
- Dubbio.
- Credenza nell’efficacia di riti e cerimonie.
- Desiderio sensuale.
- Avversione.
- Desiderio di esistenza nel mondo della forma.
- Desiderio nell’esistenza nel mondo senza forma.
- L’orgoglio.
- L’agitazione.
- L’ignoranza.
Questi legami sorgono insieme
al contatto non consapevole dei sensi con i relativi oggetti e in teoria andrebbero
abbandonati uno ad uno per accedere a stadi sempre più elevati di risveglio. In
pratica, vanno tenuti presenti nella pratica e nello studio per avere una comprensione
sempre maggiore del Sentiero.