Consapevolezza,
Mindfulness, contemplazione, “sentire” il corpo, le sensazioni, il respiro;
benevolenza, stati mentali, accettazione… Sono tutti termini che ricorrono in
questo Blog, e che hanno un’origine comune. Sono infatti parole chiave di un
discorso del Buddha, il Mahāsatipatthāna Sutta (il Grande Discorso della
Presenza nella Consapevolezza). Per usare le stesse parole racchiuse in esso, il
Satipatthāna, la Pratica della Consapevolezza, costituisce il Sentiero Diretto
verso l’Illuminazione.
Il Buddha nel Discorso raggruppa
degli “oggetti” su cui soffermare l’attenzione consapevole durante la Meditazione in quattro sezioni: (1) il corpo, (2) l’esperienza delle sensazioni
piacevoli, spiacevoli o neutre, (3) gli stati mentali e (4) alcuni aspetti della
Dottrina considerati in una prospettiva esperienziale. In ognuna di queste
sezioni vengono illustrati in modo approfondito quelli che di solito vengono
chiamati “esercizi”, per un totale di 13 pratiche.
Nella pagina di
bibliografia del Blog si troveranno libri e link dove trovare il testo tradotto
del Discorso, spiegazioni, commenti, saggi dottrinali e critici. E va detto che
chi si vuole accostare alla pratica della Consapevolezza coltivata secondo il
Discorso deve innanzitutto trovare un insegnante, monaco o laico, che gli
sappia mostrare la strada: le difficoltà del cammino sono le più insidiose,
trovandosi tutte nella mente del praticante che faticherà, specie all’inizio, a
trovare il giusto punto di vista e la leva interiore per procedere.
Per inciso, sia chiaro
che il senso delle domeniche di Meditazione che organizzo nel Centro Yoga di
via Vegezio è solamente quello di offrire uno spazio di sperimentazione che
possa servire per prendere con maggiore cognizione di causa la decisione se
mettersi o meno alla ricerca di insegnanti. I quali sono anche essi reperibili
nella pagina Bibliolink di questo Blog.
Tornando al Discorso,
devo aggiungere che sia gli antichi Commentari che molti insegnanti moderni
ritengono che per praticare il Satipatthāna non sia necessario seguire in
ordine progressivo gli esercizi dal primo all’ultimo. Per chiarire farò un
esempio: si può prendere come pratica di base la Consapevolezza del respiro o
il corpo (come viene in concreto suggerito da quasi tutti gli insegnanti
moderni), e se nel corso della meditazione ci si accorge del sorgere di una
sensazione, di uno stato mentale o di un determinato contenuto mentale, si
porterà ad esso la propria attenzione, sostenendola fino a che il nuovo oggetto
persiste, per tornare poi al respiro o al corpo.
Mi preme però
sottolineare un aspetto unico del contenuto del Mahāsatipatthāna
Sutta. Esso infatti si differenzia da tutti (che io sappia) gli altri testi
spirituali, sapienziali o religiosi che pongono un obbiettivo così alto come la
Realizzazione dell’individuo, l’estinzione della sofferenza e dell’ignoranza,
per dirla in termini buddhisti, nel fatto che manca qualsiasi considerazione metafisica, e che le
prescrizioni morali sono solo sullo sfondo (formano una base implicita). Il
materiale su cui lavorare, cioè su cui centrare la Consapevolezza, è quello a
disposizione di tutti noi in qualsiasi momento della nostra vita, e tutto viene
incluso senza giudizio di merito, sia le cose apparentemente positive che quelle
apparentemente negative. Se ad esempio si viene presi da un moto di rabbia, non
si tratterà di reprimerla, di sfogarla, né di formulare un giudizio
analitico-razionale su di essa. Chi pratica il Satipatthāna non si rammaricherà
nemmeno di provarla, bensì la porrà sotto la luce della osservazione
consapevole sotto tutti gli aspetti: fisici, emozionali, mentali. E la
contemplerà senza formulare giudizi fino alla sua naturale cessazione. Sempre
per dirla in termini buddhisti, in questo modo, dopo una lunga pratica, si arriverà
ad una comprensione profonda, esperienziale ed intuitiva che la rabbia è
impermanente, che sorge in dipendenza di determinate cause e condizioni e che
quindi non è un “oggetto” esistente “in sé”, che il suo sorgere è fonte di
sofferenza e che il suo estinguersi è un sollievo. Il che equivale a penetrare, con la pratica e la costanza, nelle
3 Caratteristiche dell’Esistenza (Impermanenza, Non-sé, Sofferenza o comprensione
che tutti i fenomeni sono insoddisfacenti) passo di alta portata realizzativa.
Nel mio porgere la
Meditazione tengo ad avere un preciso riferimento dottrinale, e qui sopra ho
esposto solamente pochi punti essenziali. Ma il Buddha diceva che il Cammino è
bello all’inizio, bello a metà e bello alla fine, intendendo che anche solo
accostandosi le prime volte alla Meditazione si può “sentire” un qualcosa di
estremamente essenziale ed attraente, per quanto difficile da realizzare. Spero
che nelle mie domeniche mattina di Meditazione qualcosa riesca a trapelare di
questo “qualcosa”.
E spero che questo
qualcosa, in termini di spaziosità, sicurezza, contributo alla creazione di un
diverso orizzonte esistenziale, trapeli anche nel mio studio di Counselor,
favorendo l’emersione delle risorse nascoste dei miei Clienti.