lunedì 27 ottobre 2014

3. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

Il “ritornello” (refrain).
Al termine di ognuno dei 13 esercizi, nel discorso vengono riportate delle parole sempre identiche, con la sola eccezione del termine che si riferisce al Satipatthāna in questione, vale a dire corpo, sensazioni, mente o dhamma. Gli autori inglesi usano per questa parte del discorso il termine “refrain”, che in italiano va reso con, ahimè, “ritornello”.
Vale la pena riportare per intero il ritornello che segue la sezione “respiro”, tenendo conto che da queste parole si possono trarre importanti indicazioni su come accostarsi correttamente alla pratica della meditazione di consapevolezza.
“In questo modo, riguardo al corpo, egli dimora contemplando il corpo internamente, o dimora contemplando il corpo esternamente, o dimora contemplando il corpo sia internamente sia esternamente. Egli dimora contemplando la natura del sorgere del corpo, o dimora contemplando la natura del cessare del corpo, o dimora contemplando la natura sia del sorgere sia del cessare del corpo. La consapevolezza che ‘c’è un corpo’ è stabilita in lui nella misura necessaria per la pura conoscenza e la consapevolezza continua. Ed egli dimora indipendente, senza attaccarsi a nulla nel mondo.
Così è come, riguardo al corpo, egli dimora contemplando il corpo.”
Nel ritornello possiamo individuare quattro elementi principali che esaminerò qui di seguito:
  •           Internamente / esternamente
  •      Sorgere / cessare.
  •      Pura conoscenza e consapevolezza continua.
  •      Indipendente, senza attaccarsi.

Interno / esterno: l’interpretazione che i commentari antichi danno di questo punto suggerisce che l’osservazione di tutti i Satipatthāna va portata su di sé e sugli altri che incontriamo. Questo si può capire immediatamente per quanto riguarda il corpo, meno per altri fattori come le sensazioni, la mente, i dhamma. Però si può intendere che l’attenzione venga portata, quando si ritiene opportuno anche su quei “sintomi” psicofisici che ci fanno comprendere se chi abbiamo di fronte stia bene o meno, quale sia lo stato della sua mente, eccetera. L’espressione ”sia internamente sia esternamente”, però, suggerisce che questa istruzione possa avere come obbiettivo la constatazione che in ognuno di noi si manifestino, influenzati da determinate cause e condizioni, degli stati anche al di là di qualsiasi determinazione personalistica. Se il mio o il tuo respiro è alterato perché sono o sei preda di una forte emozione, piuttosto che il contenuto si può osservare il meccanismo, che prescinde da me o da te. La consapevolezza dei Satipatthāna sia internamente che esternamente può quindi sostenere una profonda intuizione del non-sé. Altre interpretazioni moderne affermano che internamente / esternamente possano riferirsi a mente e corpo o a organi interni – pelle.
Sorgere / cessare. Con queste parole il Buddha offre una chiara istruzione per la comprensione diretta della impermanenza tramite la consapevolezza. Il fatto che ciò sia presente nel ritornello, e che quindi sia ripetuto 13 volte nel discorso, può far affermare che la pratica del Satipatthāna abbia come principale modalità / scopo la penetrazione intuitiva di questa, conosciuta, insieme al fatto che i fenomeni siano insoddisfacenti e che la loro natura sia non-sé, come “caratteristica dell’esistenza condizionata”.
Pura conoscenza e consapevolezza continua. L’invito è qui a non identificarsi con nulla: la pratica è quella dell’osservazione di un fenomeno, e non di un contenuto. La terminologia usata è quella del discorso diretto. “Si stabilisce che c’è un corpo” va intesa come un’affermazione che nella sua disarmante semplicità spiega la conclusione empirica cui si giunge con la contemplazione: la chiara visione delle cose così come sono, senza interferenze mentali, emozionali o sensoriali. Non è prescritto un completo abbandono delle facoltà concettuali, se esse sono messe al servizio della consapevolezza. Un abile uso dell’”etichettatura”, come descritto in un precedente post, può servire allo scopo di stabilire un sano distacco dall’oggetto osservato. Ma ogni strumento verbale-concettuale va tenuto al minimo, essendo l’orientamento generale quello della “pura conoscenza e consapevolezza continua”: si conosce per esperienza diretta e la mente si limita ad osservare senza scatenare le sue consuete strutture reattive. Ad un certo livello di pratica, la consapevolezza è fine a se stessa, essendo un puro atto (azione-non azione) di conoscenza della verità. Per questo il praticante sarà indipendente e senza attaccarsi a nulla nel mondo. “Indipendente”, secondo i commentari antichi, significa privo di attaccamento ad opinioni e cose materiali.
Riassumiamo dando uno sguardo d’insieme.

Il Ritornello indica che l’attenzione consapevole, ancorata ad un determinato Satipatthāna, si rivolge anche e forse soprattutto al meccanismo della percezione-conoscenza. I 4 punti che ho citato oggi esortano a vedere l’oggetto non come mio/tuo (1), viene visto nella sue 3 caratteristiche essenziale di impermanenza, inefficacia (unsatisfactoriness, dukkha), non sé (2), si afferma che ci si interessa ad esso al solo scopo della coltivazione della consapevolezza (3), e dall’osservazione non deve derivare alcun attaccamento (4). Quindi nessun intervento logico o elaborativo nei contenuti dell’osservazione, siano essi relativi a pensieri, sensazioni, emozioni, sentimenti o percezioni, quanto una contemplazione diretta o intuitiva dei fenomeni così come si presentano. Alle volte non è così facile cogliere il senso di una tale semplicità, e anche in questo il sostegno di un’insegnante è essenziale a sfrondare fraintendimenti e complicazioni autoprodotte.

giovedì 23 ottobre 2014

2. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

IL RESPIRO (2)

A questo punto il Buddha esorta con semplicità ad inspirare ed espirare consapevolmente. “Consapevolmente”, come mi disse una volta un insegnante, significa “consapevolmente”, e mai come in questo caso è bene avere il coraggio di accostarsi a questo argomento in modo chiaro e lineare. “Consapevolmente” vuol dire sapere che si sta respirando. Sapere che in questo momento, qui in questo corpo avvengono, secondo le modalità che percepisco, l’inspirazione, l’espirazione e volendo anche le pause tra l’una e l’altra. Non significa pensare al respiro, né influenzare volontariamente in alcun modo la sua durata o profondità. Non significa, necessariamente “fare il vuoto mentale”, qualsiasi cosa questa espressione possa significare. Il Satipatthāna Sutta prescrive la consapevolezza, non il vuoto mentale, e la consapevolezza è il “Sentiero diretto verso la realizzazione”. Vedremo ora e anche  più avanti come una attività mentale discorsiva, negli opportuni modi, possa entrare in gioco nella pratica del Satipatthāna. Specialmente i primi tempi, molti insegnanti suggeriscono di “etichettare” mentalmente le fasi del respiro con parole che possano funzionare da ancoraggio all’attenzione: inspiro – pausa – espiro, eccetera, per fare un esempio. Questa pratica va poi abbandonata non appena la mente sia sufficientemente stabile, ma non va considerata un ripiego a causa della labilità del proprio raccoglimento, ma è un mezzo abile per creare una sinergia tra mente operativa al servizio della mente contemplativa.
Nel secondo dei quattro punti, il Buddha invita a “sapere” che inspirazione ed espirazione sono lunghe, se sono lunghe o che sono brevi, se sono brevi. Di nuovo, solo sapere che cosa accade, non tentare di regolare volontariamente la durata del respiro. Nel discorso viene citato prima il respiro lungo e poi quello breve, e questo sicuramente riflette il progressivo e naturale accorciarsi della durata del respiro via via che calma fisica e mentale aumentano. Durante la pratica, però, le cose non vanno in modo lineare, e ci si può accorgere che il respiro viene in qualche modo ostruito o anche solo condizionato dalla posizione del corpo, troppo tesa o al contrario priva di tono o anche asimmetrica. Il mio consiglio è quello di cercare con piccoli aggiustamenti di sedersi nel modo più corretto possibile, tenendo conto che sensazione di peso e contatto col terreno, il giusto tono energetico, il rilassamento e una prolungata immobilità sono i fattori corporei che contribuiscono in modo sostanziale ad una buona pratica. La meditazione di consapevolezza è sempre molto radicata nel corpo. Ricordiamoci che il Sentiero del Buddha è chiamato “la via di mezzo” tra il troppo rigore e l’eccessiva rilassatezza. Il confronto con un praticante esperto è il modo migliore per affrontare queste possibili difficoltà.
Il terzo e quarto passo della consapevolezza del respiro sono: fare (respirando) esperienza di tutto il corpo ed il calmare (respirando) le formazioni corporee, vale a dire il corpo nella sua potenzialità di azione.
Mentre per quanto riguarda la consapevolezza del respiro e della sua lunghezza il Buddha usa le parole “egli sa” (per esempio: “egli sa: la mia inspirazione è lunga”), per i due punti successivi l’espressione usata è “egli si esercita” (per esempio: “egli si esercita così: io inspiro facendo l’esperienza di tutto il corpo”). Probabilmente ciò è dovuto ad un più alto grado di raffinatezza dell’esercizio proposto, ma ci sono anche altre possibili considerazioni. Se generalmente i commentari antichi spiegano il terzo punto (respirando fa esperienza del corpo intero) come un invito a focalizzare l’attenzione sull’intero processo della respirazione (vedi l’espressione antica “il corpo della respirazione”), è anche vero che la mia esperienza, insieme ad alcune esortazioni ricevuta da diversi maestri, mi suggerisce che non esista in realtà una incompatibilità tra attenzione focalizzata e attenzione diffusa. Nel momento in cui la pratica e incentrata sulla consapevolezza, e non sulla concentrazione, sta di fatto che tanto più la mia attenzione, mentre respiro, è diffusa in tutto il corpo, quanto più chiaramente e tranquillamente una parte di essa si “aggancia” ai dettagli del respiro. Non saprei dire perché è così, ma di sicuro la meditazione abitua a questi paradossi che possono essere “compresi” solo dalla visione della mente contemplativa. In questo tipo di attenzione, si può stare anche a lungo su un oggetto di attenzione senza sperimentare il senso di sforzo e chiusura insito nella concentrazione.
La mente contemplativa, osservando il respiro, si svincola dalle connessioni ordinarie di “agente e azione” (la meditazione accade, non sono “io” a farla). Quindi la mente e il corpo non agiscono e di conseguenza si calmano. L’esperienza del corpo che diventa calmo respirando consapevolmente conclude la sezione del Satipatthāna Sutta dedicata al respiro.

Il discorso prosegue con il cosiddetto “ritornello” (refrain) vale a dire delle frasi che ritornano sempre uguali al termine di ogni sezione di esso, ma che sono molto importanti per una corretta comprensione della pratica. Ne parlerò nel prossimo post.

lunedì 20 ottobre 2014

Incontro gratuito di meditazione - Ottobre

Condurrò il prossimo incontro di meditazione domenica 26 ottobre alle 10 al Centro Yoga di via Vegezio 6 (Roma Balduina). Scrivetemi o telefonatemi (recapiti su homepage del blog) per qualsiasi informazione.

domenica 19 ottobre 2014

1. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

IL RESPIRO (1)

Il Satipatthāna Sutta inizia affermando che i 4 Satipatthāna, cioè i 4 modi ivi descritti di “essere nella consapevolezza”, costituiscono il “sentiero diretto” per la purificazione, per il superamento della sofferenza, per appropriarsi del “vero metodo”, per la realizzazione del Nibbāna. Ci vorrebbero molte pagine per illustrare tutto questo e ogni frase e anzi, ogni parola del Discorso si presta ad interpretazioni e approfondimenti. Chi è interessato potrà trovare molto materiale nella bibliografia di questo Blog (soprattutto chi è i grado di leggere in inglese), mentre qui vorrei concentrarmi su indicazioni riguardanti la pratica. Il Buddha enumera i 4 Satipatthāna: il corpo, le sensazioni, la mente e i dhamma, intendendo con quest’ultimo termine delle qualità mentali e un’analisi della realtà svolta secondo determinate categorie. Le vedremo più avanti.
Le contemplazioni del corpo sono sei e la prima concerne il respiro. Che indicazioni da il Buddha a riguardo, al di là delle mille interpretazioni, versioni e varianti molto diffuse tra i praticanti odierni? Egli si rivolge ai suoi monaci e li esorta ad andare nella foresta, a sedersi a gambe incrociate e il corpo eretto sotto un albero o in una capanna deserta, a “stabilire la consapevolezza di fronte a sé”, e quindi:
  1.       Inspirare ed espirare consapevolmente.
  2.       Essere consapevoli se l’inspirazione e l’espirazione sono lunghe o corte.
  3.       Inspirare ed espirare ed espirare contemplando l’esperienza del corpo intero.
  4.       Inspirare ed  espirare calmando le formazioni corporee.


Va detto che un altro discorso, l’Ānāpānasati Sutta, parla di altre 12 “tecniche” relative al respiro, per un totale di 16. Esaminiamo comunque i 4 punti del nostro discorso e le relative premesse.

I tempi e le circostanze attuali sono quelle che sono e ognuno potrà valutare per sé i requisiti di solitudine richiesti (solitudine, anche a quei tempi, bilanciata dalla comunità dei monaci), e anche l’ineluttabilità del fatto che si parla di posizione seduta a gambe incrociate col corpo eretto. Risulta comunque chiara l’importanza che il Buddha assegnava alla meditazione formale seduta.
Per quanto riguarda l’istruzione “stabilisce la consapevolezza di fronte a sé”, ne è stata data una interpretazione letterale e una figurata. La prima ritiene che il Buddha alludesse al fatto che l’area tra le narici e il labbro superiore sia la più adatta per stabilirvi l’attenzione all’aria che entra ed esce. Questo solleva un punto molto importante: la pratica della consapevolezza del respiro implica un’attenzione estremamente empirica. Non si segue l’idea del respiro, non è un adeguare il respiro ad un ideale di corretta fisiologia più o meno sottile, bensì è l’attenzione alle sensazioni fisiche causate dai movimenti della respirazione. Le indicazioni più comuni formulate da diversi insegnanti sono:
  •  Come già detto, la sensazione causata sulla pelle delle narici e della zona tra il naso e il labbro superiore dall’aria fresca e secca che entra durante l’inspirazione e dall’aria calda e umida che esce durante l’inspirazione.
  • Le sensazioni tattili dell’addome che si espande durante l’inspirazione e che si contrae durante l’espirazione.
  • L’intero processo della respirazione, comprendente le sensazioni del volto, del torace e dell’addome, ed eventualmente altro.

Ricordo però che i Discorsi del Buddha e i Commentari antichi, per quel che mi risulta, parlano esclusivamente della zona labbro superiore-naso.
L’interpretazione figurata può intendersi come un invito a praticare la consapevolezza in modo fermo e risoluto, senza nessuna indicazione “anatomica”.
Come regolarsi di fronte a questa pluralità di istruzioni, presente soprattutto tra gli insegnanti moderni? Con la pratica, innanzi tutto, con la sperimentazione diretta e, ove possibile, con un rapporto costante per lo meno con un praticante più esperto con cui parlare e chiarire dubbi. Infatti questa pratica può sembrare quasi disarmante nella sua semplicità, e in un certo modo lo è, ma la nostra mente può creare molti problemi, come ad esempio una smania di differenziare la sperimentazione senza darsi la possibilità di approfondire l’esperienza. Cosa che, prima o poi, va fatta.

Per oggi mi fermo qui, il prossimo post sarà relativo alle 4 modalità di attenzione al respiro elencate poco sopra.

giovedì 9 ottobre 2014

Annunci

Primo annuncio: la pagina Bibliolink è ultimata e consultabile.

Secondo annuncio: Ho deciso di prendere un impegno con chi desidera seguire questo blog. Vorrei cioè esporre con dei post di cadenza settimanale o giù di lì i 13 "esercizi" descritti dal Buddha nel Satipatthana Sutta. In questo discorso il Buddha delinea delle modalità di applicare la consapevolezza durante la meditazione. Alcune di esse sono assai note e praticate, come la consapevolezza del respiro e del corpo, altre meno, per questo ritengo utile illustrarle brevemente basandomi sulla mia esperienza, sugli insegnamenti che ho ricevuto e con il supporto del libro in inglese di Ajahn Analayo, citato in Bibliolink.
Non voglio con questo colmare una lacuna che tuttavia è presente tra le pubblicazioni in italiano, ma voglio offrire degli spunti di riflessione e, possibilmente, di pratica a chi è interessato.
Magari riusciamo ad integrare queste riflessioni nelle domeniche mattina di meditazione che organizzo nel Centro Yoga di Via Vegezio a Roma.
Per essere costantemente aggiornati dei post sul Satipatthana, il mezzo più pratico e tecnologicamente valido è quello di scrivere la propria email nella finestra qui a destra "segui con l'email". Così facendo si riceveranno le notifiche di tutti i miei post (userò molta moderazione e non intaserò certamente la posta di nessuno!)
Ricordo che il prossimo appuntamento di meditazione a via Vegezio è il 26 ottobre alle 10.