Avete presente
come fa l’inizio della Sagra della Primavera di Igor Stravinskij? Se me lo
avessero chiesto fino a due giorni fa avrei detto che inizia con una misteriosa
frase di fagotto solo, ripetuta alcune volte seguita immediatamente da quella
specie di famoso basso ostinato degli
archi con trombe e tromboni che marcano gli accenti disposti in modo quasi
caotico. Una vera sfida per le coreografie di Djagilev! Questo mi ricordavo
sulla scorta di ascolti radiofonici e di dischi (in casa d’altri, dato che non
possiedo cd di Stravinskij).
Qualche giorno fa
all’Auditorium di Roma mi sono accorto che non è così. Tra i due momenti sopra
descritti passano quasi quattro minuti nei quali intervengono diversi strumenti
a fiato (specie quelli di registro basso, tra cui un'insolito flauto contralto in sol) a creare un momento sospeso e misterioso, nel quale non prevale nessuna
melodia. Quindi è una musica difficile da ricordare a meno che, inchiodati
nella poltrona della sala di concerto non si sia costretti a fare attenzione.
Da meditante e appassionato di musica classica mi ha sempre colpito il rapporto tra ascolto e
attenzione, e frequentemente questo argomento è stato oggetto della mia
osservazione.
Come mai la Missa
Papae Marcelli di Palestrina, relativamente breve, e così difficile da
ascoltare con attenzione fino in fondo? Perché dopo aver ascoltato il terzo
movimento del quartetto op. 132 di Beethoven, per i restanti 40 minuti di
concerto la mia testa era come un frullatore piena di pensieri distraenti? Me lo
chiedo perché l’attenzione è il mio pane quotidiano, sia nella pratica della
meditazione, sia nella mia professione di counseling. Vediamo di dare qualche
risposta.
Nel caso di
Palestrina diverse linee melodiche si intrecciano fin quasi a scomparire nella
polifonia, che in questo caso è il vero oggetto di contemplazione. La
dimensione temporale dello svolgimento musicale è chiaramente in secondo piano.
Ogni battuta va contemplata in senso verticale (cioè nel senso delle armonie
che si susseguono) e il godimento proposto è fortemente formale e intellettuale.
Beethoven invece
in quel quartetto ha raggiunto un apice di tensione emotiva, e credo che
ascoltandolo per la prima volta dal vivo io abbia raggiunto una vera e propria
saturazione. Non ero in grado di ricevere più nulla. O forse tutto il resto del
concerto non era in grado di stimolare in me ulteriore interesse, la musica
successiva era come se volasse troppo basso.
Potrei fare altri
esempi, ma vediamo che nel primo caso c’è un eccesso di intelletto nel secondo
un eccesso di emozione. E allora, mi si può chiedere, anche durante la
meditazione succede di sperimentare attività dell’intelletto o intensi flussi
emotivi, qual è il problema?
Nella meditazione
cerchiamo di ancorarci saldamente al corpo. Questa è la differenza. Il
pensiero, le emozioni sono quell’aspetto cangiante della realtà che può essere
contemplato se e quando il nostro sistema mente-cuore-corpo è correttamente
disposto. Iniziamo portando la mente a delle sensazioni fisiche e le osserviamo
per quelle che veramente sono. Accogliamo i fenomeni esterni e interni che
accadono dalla prospettiva del nostro centro, e lì torniamo quando contempliamo
la cessazione dei fenomeni.
Si esercita così: calmando il
condizionante del corpo inspiro;
Si esercita così: calmando il
condizionante del corpo espiro.
(Anapanasati Sutta)
La musica, per
quanto si muova in un reame estremamente sottile, è evocatrice di vissuti,
accadimenti, coinvolgimenti, attività, mentre la meditazione si serve (ma forse
non è il verbo adatto, meglio si incentra?) sul corpo per coltivare la calma
del nostro essere. La musica è un procedimento additivo, la meditazione
purifica.
E nel counseling,
che è un’attività vera fatta di scambio, di parole, di sguardi, di interazione?
Beh, mi chiedo quanto questa attività sia in realtà una specie di epifenomeno
di una calma più profonda, dove avviene un sostare, un sentire, un esserci, e
mi chiedo se sia questa realtà più nascosta (forse è più facile chiamare tutto
ciò semplicemente setting) ad agire
la trasformazione. È fondamentale anche nel counseling riportarsi al corpo, al
qui e ora, a quel che si sente ad ogni livello. E questo forma una solida base
per un’attenzione solida e concreta.
Per tornare alla
musica ci sono altre due cose che voglio dire. A rischio di scrivere qualcosa
di estremamente impopolare, quando ascolto Bach sono sempre colpito dal suo
aspetto matematico-intellettuale, che mi diventa quasi insopportabile, ad
esempio, nell’Offerta Musicale. Ma sento che tutto viene rettificato quando,
nelle sue composizioni, compaiono dei cantanti: la voce umana restituisce l’elemento
corpo che riequilibra i voli dell’intelletto.
Infine un mistero.
Come è possibile che io abbia resistito con un’attenzione sempre fresca e
vigile per tutte e quasi le cinque ore del Tristano e Isotta? Qui ci vorrebbe un
esperto che ne sa più di me. Solo in parte sono stato rapito dalla messa in
scena, dai cantanti, costumi e scenografia. Non sono stato così coinvolto dal
Barbiere di Siviglia, che è ben più corto. Intuisco, sento che nella musica di
Wagner c’è un fattore corpo assai forte. È qualcosa di cui la sua musica è
profondamente permeata. Non so quanto l’autore se ne rendesse conto, considerando
il libretto non mi pare di poterlo riscontrare. Ma non me ne intendo abbastanza
per dire di più.