domenica 27 dicembre 2015

INDOLENZA E TORPORE

Comunico prima di tutto che il prossimo incontro al centro yoga di via Vegezio sarà il 17 gennaio e non il 10 come comunicato verbalmente.
L’indolenza (in breve uno stato di mancanza di motivazione che annulla o riduce le energie mentali) e il torpore (mancanza di energia fisica che conduce verso la sonnolenza) sono note per essere forse l’ostacolo più difficile quando si incontrano durante la meditazione, tanto che il Buddha se ne è occupato dedicando al problema alcuni passi nei suoi discorsi. Ma la portata di questo ostacolo va anche al di là della pratica della meditazione seduta, in quanto ci interpella sul rapporto tra energia fisica e quella mentale, e in generale sul nostro rapporto con l’energia. Come fare per non arrivare esausti al nostro appuntamento col cuscino della meditazione? A che cosa dedichiamo i nostri momenti migliori, al lavoro, alla famiglia, alla meditazione? Che conseguenze ha investire energia nella pratica spirituale? Essa ha sempre come risultato un incremento della nostra energia psicofisica, o no?
Sono molte le domande che nascono dalla consapevolezza del nostro stato energetico ed essa può a sua volta fornire molte risposte.
Durante l’incontro di meditazione del 20 dicembre scorso ho proposto, verso la metà di un periodo di meditazione iniziato come al solito sul respiro e sul corpo, di “simulare” uno stato di deperimento energetico, chiedendo ai partecipanti di mollare qualsiasi volontà di tenere la schiena sostenuta, e quindi di afflosciarsi curvando la colonna vertebrale e chinando la testa. Com’è stare così? Si sta meglio, o si sta peggio, ci si può restare a lungo, quali reazioni sorgono? In questo stato fisico è poi forse più “coerente” provare ad abbandonare completamente anche le più sottili intenzioni di “tenere” un oggetto di concentrazione, e anche in questo caso si può provare a vedere che cosa succede.
Anche in questo caso le esperienze riportate dai presenti durante il periodo di condivisione sono state le più varie. Senza dubbio perdere il riferimento di un corpo rilassato ma sostenuto può provocare sonnolenza e uno scatenamento della proliferazione mentale, e questo può essere sperimentato come uno spiacevole stato di confusione; per altri c’è soltanto il perdersi in una condizione semionirica, con un “ritornare in sé” tutte le volte che la mia voce dava nuove indicazioni. C’è stato poi il caso di una persona che si è ritrovata in uno stato energetico descritto come più luminoso, in quanto l’indicazione di mollare la presa sull’oggetto di concentrazione aveva provocato un assestarsi di una consapevolezza più tranquilla, meno forzata. Non sono rare, tra i meditanti, questo tipo di considerazioni: se si riesce a sopportare a lungo lo stato in cui è presente la sonnolenza fino a far ciondolare la testa, improvvisamente si può sperimentare lo svanire della stanchezza ed il sorgere di un’attenzione particolarmente viva, rilassata e soprattutto non tesa.
Il discorso dell’energia durante la meditazione viene molto arricchito dalla conoscenza e dall’esperienza dei Sette Fattori del Risveglio, ma di questo se ne può parlare in un’altra occasione.
Il 17 gennaio ci prenderemo una pausa dai 5 ostacoli per dedicarci ad una pratica propria del Focusing. Perché? Da una conversazione casuale con la Maestra Maura Ventrella, leader del Centro Yoga di via Vegezio, si è deciso di dare uno spunto comune, a chi è interessato, nella pratica dello yoga e della meditazione. Nel focusing ci si apre alla percezione del “felt sense” (quel piccolo spunto psicofisico alla base delle nostre inclinazioni mentali e caratteriali) “facendo spazio”, cercando cioè di sgombrare la mente da quei contenuti discorsivi o meno che bloccano la nostra consapevolezza delle inclinazioni più profonde. Alla pratica detta appunto del “fare spazio” (che proporrò nel mio incontro) viene riconosciuta una grande efficacia anche per affrontare vere e proprie patologie fisiche. Maura in un weekend di fine mese (l’annuncio verrà dato tra poco) proporrà un seminario intitolato “Dare spazio”, dove le asana verranno affrontate a partire dalla consapevolezza che ampliando il proprio spazio interno si può incrementarne la naturalezza e l’efficacia. Ma cosa significa “ampliare il proprio spazio interno”? E’ solo un fatto fisico? Al Centro Yoga di via Vegezio gennaio è “il mese dello spazio”.

domenica 13 dicembre 2015

INCONTRO GRATUITO DI MEDITAZIONE - DOMENICA 20 DICEMBRE

Domenica 20 dicembre alle ore 10 al Centro Yoga B.K.S. Iyengar di via Vegezio 6 a Roma (Balduina) terrò l'ultimo incontro di meditazione del 2015. Oltre a farci gli auguri di Natale e di un superprospero 2016 praticheremo la consapevolezza sul terzo dei cinque ostacoli, l'indolenza-torpore.

 Non è necessario prenotarsi, non ci sono formalità, ci sono invece tanti cuscini e coperte per sedersi comodi. Sulla homepage di questo blog ci sono i miei recapiti per contattarmi e chiedermi informazioni. Presto darò le date per gli incontri del 2016.

sabato 12 dicembre 2015

Avversione all'avversione

Il secondo dei cinque ostacoli, l’avversione, è stato il filo conduttore dell’incontro di meditazione del 29 novembre scorso. Ho introdotto il tema ricordando che essa può essere annoverata tra le pulsioni primarie dell’essere umano quasi a livello di specie. Se la cura di se stesso e degli individui più prossimi è alla base di molti sentimenti di vicinanza e di affetto, la paura e l’aggressione sono probabilmente alla base dell’avversione, che mi risulta essere uno stato mentale molto più pervasivo e potente di quanto risulti ad un primo sguardo.

La meditazione che ho proposto e guidato ha ripercorso quella dell’incontro precedente: si parte sempre da un radicamento nel corpo e nel respiro, in modo da potersi aprire a osservazioni più profonde. Ho poi invitato i partecipanti a scandagliare il proprio sistema mente-cuore-corpo per scoprire se nel qui ed ora fossero presenti sensazioni o stati mentali spiacevoli, o pensieri in qualche modo negativi. Invece di relegarli sullo sfondo della propria esperienza, di ignorarli o reprimerli ho chiesto di prestarvi un'attenzione centrata e sostenuta, e sentire che cosa succedeva. E ho chiuso il periodo di meditazione invece chiedendo di pensare deliberatamente a qualcosa o qualcuno che suscitasse avversione (evitando argomenti troppo astratti, lontani o assoluti, come il terrorismo – o i terroristi -, la fame nel mondo o i politici disonesti). Dopo che il pensiero si era formato in termini di immagine, evocazione o altro, ho dato l’indicazione di scandagliare di nuovo il proprio stato, per fare l’esperienza diretta di come la mente negativizzata produca risonanze in tutto il nostro essere.
La successiva condivisione ha molto risentito della negatività dell’argomento. L’avversione produce stati psicofisici negativi anche nostro malgrado. Ormai tutti sono d’accordo nel sostenere che trovarsi in uno stato di avversione, per quanto legittimo, giusto o corretto possa essere percepito, non “ci fa bene”. La consapevolezza tanto degli aspetti fisici quanto di quelli mentali si può rivelare una preziosa risorsa: accorgersi può voler dire cominciare a liberarsi.
Nella pratica della meditazione si incontrano continuamente spunti di avversione, a partire dai vari dolori fisici, e tra i partecipanti c’è stata la consueta varietà di atteggiamenti: la consapevolezza porta sollievo (in genere sciogliendo tensioni muscolari non notate) oppure peggiora la situazione, acuendo la percezione della sofferenza. Nel mezzo ci sono tutte le sfumature possibili. Trattare questo argomento elementare ma profondo necessita una guida in carne ed ossa.
A un certo punto, durante la meditazione, è passata in lontananza una piccola banda di ottoni e percussioni che intonava una medley di canti natalizi. Io ho provato una forte avversione e la mia mente ha cominciato a produrre giudizi sull’impostazione delle armonie e sulle incoerenze ritmiche. Ho potuto comunque seguire lo spegnersi dell’avversione sullo spunto delle considerazioni che io stesso proponevo ai presenti: è solo avversione; la mia è una sovrapposizione condizionata ai semplici suoni che percepisco; posso includere questi suoni e prenderli solo come tali nell’orizzonte della mia percezione / consapevolezza. È stato divertente notare le altre differenti reazioni a questo episodio e molti hanno invidiato la persona che ha chiesto: “musica? Quale musica?”
Una sessione sull’avversione non poteva che concludersi con una meditazione di benevolenza, che è un suo antidoto diretto. Anche in questo caso, Metta significa in primo luogo benevolenza verso se stessi, in quanto vittime della tendenza innata all’avversione verso ciò che sulla base dei nostri condizionamenti ci appare spiacevole.

Prossimo incontro il 20 dicembre alle 10 e sarà il turno di indolenza e torpore.

lunedì 23 novembre 2015

Esperienze di desiderio

Lo scorso 8 novembre ho tenuto nel centro B.K.S.Iyengar di Roma la mia ormai consueta domenica di meditazione, che ha visto un’ottima partecipazione. Per la prima volta, però, non mi sono limitato a guidare meditazioni di consapevolezza e ad una sessione di domande e risposte ma ho affrontato, in modo esperienziale, un importante punto dell’insegnamento del Buddha, vale a dire il desiderio visto nell’ottica dei 5 ostacoli così come sono esposti nel Satipatthana Sutta.
Il mio intento non è certo quello di esporre o far conoscere sistematicamente la Dottrina del Buddhismo Theravada. Per questo ci sono (anche se in italiano non poi così tanti) ottimi testi. Per chi volesse approfondire il tema del desiderio un possibile rimando è al libro di Ajahn Analayo presenti nella pagina Bibliolink di questo blog:
(http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/buddhismo/escursioni1.pdf dove l’Autore tratta del desiderio proprio all’inizio).
Semmai, in questo e nei prossimi incontri vorrei proporre un altro possibile sapore della meditazione di Consapevolezza, quello più ingranato nei vari modi in cui la nostra mente affronta e reagisce alla realtà e all’esperienza. E questo, in parole povere, è il quarto Satipatthana, i Dhamma, cioè la consapevolezza dei fenomeni.
Il desiderio, quindi. Durante il primo periodo di meditazione, dopo aver suggerito abbastanza a lungo di centrarsi sul corpo e sul respiro, ho invitato i presenti a portare la propria attenzione agli organi del senso del gusto e a notare cosa accadeva nel far questo.

Il desiderio, nel Satipatthana Sutta, è il desiderio di gratificazione sensoriale, e ho proposto questo esercizio sapendo che in ogni momento ci può essere un bisogno, un’inclinazione, un ricordo, il senso di una mancanza relativa al piacere procurato da un determinato senso, e il gusto mi è parso il più adatto da essere evocato durante una sessione di meditazione formale. Anche in questo caso la consapevolezza può essere strutturata nel solito modo: che cosa è (cosa sta accadendo ora sotto la luce dell’attenzione così indirizzata?) e com’è (sentire tutte le caratteristiche dell’esperienza).
Quindi il desiderio, nelle sue basi corporee, emozionali e mentali, può essere un oggetto di contemplazione, e sapere questo è un forte cambiamento rispetto alla realtà dei condizionamenti e delle abitudini che di solito ci governano. Tra l’altro il desiderio è spesso oggetto di un grosso fraintendimento, quando si dice che il Buddha ha prescritto la sua eliminazione e una vita priva di questo tipo di energia. Lo sviluppo indicato dal Buddha è piuttosto un lavoro di trasformazione che parte dall’accettazione, dalla consapevolezza, dalla contemplazione, dall’impegno e da saldi presupposti etici.
Il desiderio e le sue modalità vanno conosciute e da una conoscenza diretta potremo, se vorremo, svincolarci dalla dipendenza che scaturisce dalla reazione ai processi percettivi. I fenomeni, esaminati, risultano impermalenti e inaffidabili. Isolando questa energia essa può rendersi disponibile per essere ben indirizzata per progredire.
La consapevolezza volta a quanto viene percepito è quindi il primo passo per scongiurare la pervasività del condizionamento del desiderio. Nelle scritture ci sono poi diverse altre pratiche indirizzate a tal fine, alcune francamente inapplicabili, come la contemplazione di un corpo in decomposizione. Però, come ho detto durante l’incontro, magari ogni tanto è bene ricordarsi che non siamo destinati a campare a lungo, e che il nostro corpo, per certi versi meraviglioso, per certi altri è disgustoso.
È raccomandata anche la moderazione nel mangiare, così come la consapevolezza della felicità derivante dal contentarsi con poco. Si può cominciare rifiutando l’ideologia corrente della ricchezza e del possesso a tutti i costi, e sviluppare una visione nuova e centrata .
Mi rendo conto che l’argomento è vasto e quello che ho offerto durante l’incontro è molto poco. Però i partecipanti hanno mostrato di recepire la sostanza della pratica: osservare un desiderio, scinderlo nelle sue componenti corporee emozionali e mentali, accorgersi che i desideri sono sempre in agguato col loro carico di condizionamento. E io so che quando un’esperienza è vissuta per bene può avere delle risonanze inaspettate.

E quindi nel prossimo incontro di domenica 29 novembre tratteremo del secondo ostacolo: l’avversione, sempre in una modalità esperienziale. Ore 10, centro Yoga B.K.S Iyengar, via Vegezio 6 Roma. Contattatemi per info.

lunedì 2 novembre 2015

I CINQUE OSTACOLI – INFO DI BASE.

QUALI SONO I CINQUE OSTACOLI?
1.    Desiderio dei sensi.
2.    Avversione.
3.    Indolenza e torpore.
4.    Irrequietezza e preoccupazione
5.    Dubbio.




IN QUALE DISCORSO IL BUDDHA PARLA DEI CINQUE OSTACOLI?
Il Buddha parla dei cinque ostacoli in numerosissimi discorsi, ma in questo contesto a noi interessa riferirsi a quanto detto nel Satipatthana Sutta. È interessante e non priva di significato la loro posizione nell’ambito di questo Discorso che inizia, come è noto, nel fondare la pratica nella consapevolezza del corpo. Il passo successivo è esaminare le reazioni emotive alla percezione (Vedanā), in pratica accorgendosi dei moti di attrazione o repulsione che proviamo di fronte a un’esperienza. L’esperienza, tanto quella ordinaria quanto quella meditativa, è inoltre accompagnata da un variare del tono qualitativo della nostra mente (avidità, rabbia, confusione, concentrazione eccetera), e anche su questo si è invitati ad appuntare la consapevolezza. Poi si passa a cinque Dhamma, che potremmo descrivere come elementi della dottrina considerati esperienzialmente. La loro successione conferma quanto osservabile in generale nel discorso: il Buddha elenca gli elementi su cui portare l’attenzione in una sequenza dal più grossolano al più sottile in una progressione che indica una strada di pratiche sempre più vicine all’obbiettivo finale (anche se questa successione ideale trova spesso ben poco riscontro nella propria pratica). I Cinque Ostacoli sono il primo Dhamma. (gli altri quattro sono i Cinque Aggregati dell’attaccamento, le sei Basi dei Sensi, i sette Fattori del Risveglio e le Quattro Nobili Verità.

PERCHE’ (SOLO) CINQUE?
E’ difficile dare una risposta a questa domanda senza affidarsi alla lungimiranza e saggezza del Buddha. Alcuni maestri hanno però notato come questi Cinque Ostacoli corrispondano a delle tendenze energetiche di base presenti negli esseri umani: andare verso, respingere, cadere nell’inazione, eccitarsi, vacillare. Quando si incontra nella propria vita o nella propria pratica una determinata tendenza, più o meno disturbante, possiamo chiederci quale sia la sua qualità energetica e molto probabilmente ci sarà facile trovare una corrispondenza nelle succitate tendenze. Si dice a volte che nel Buddhismo dei Sutta ci sia poca enfasi sulla paura. Alla luce di quanto sopra si può invece praticare chiedendosi: “la paura che provo mi blocca, mi eccita mi manda in confusione….?” Stare con la paura può diventare quindi consapevolezza di uno o più ostacoli.

OSTACOLI A COSA?
Si tratta di ostacoli mentali che impediscono lo sviluppo della mente, la distraggono e la disturbano, possono addirittura possederla e ossessionarla. Impediscono alla mente distare in uno stato che porta alla concentrazione e alla realizzazione della verità. Si impossessano della mente e prendono il sopravvento sulla saggezza. Liberarsi dei Cinque Ostacoli è come liberarsi da un debito, riprendersi da una malattia, uscire di prigione, raggiungere un luogo sicuro.
Si dice spesso che per sviluppare la calma concentrata e poi realizzare stati di profondo assorbimento meditativo (Jhana) è necessario almeno sospendere l’operatività dei Cinque Ostacoli.

COME LAVORARE SUI CINQUE OSTACOLI?

È una questione soprattutto di pratica che va appresa con un insegnante, ma si può dire qualcosa prendendo spunto sempre dal Satipatthana Sutta. Il Buddha raccomanda prima di tutto di essere consapevoli se uno o più ostacoli sono presenti o meno nella mente del meditante. Inoltre raccomanda di sapere come un ostacolo non sorto può sorgere, come un ostacolo sorto può essere abbandonato e come un ostacolo abbandonato possa non sorgere più in futuro. La consapevolezza è quindi in questo caso uno sguardo ampio sulla percezione, la mente e i meccanismi che le regolano. Si nota infine come il Buddha non raccomandi alcuna azione repressiva, giudicante o moraleggiante nei confronti dei Cinque Ostacoli, ma una pura e semplice pratica di consapevolezza. Semplicità che a volte è difficile da comprendere appieno.

sabato 31 ottobre 2015

8 NOVEMBRE INCONTRO GRATUITO DI MEDITAZIONE - I 5 OSTACOLI

Domenica 8 novembre proseguono alle 10 gli incontri gratuiti di meditazione a Roma al Centro Yoga BKS Iyengar in via Vegezio 6, Roma (Balduina, Se qualcuno vuole dritte su come arrivare con metro e altro mi contatti). 
Quest'anno i miei incontri avranno un tema che, se verrà sostenuto per quanto riguarda i contenuti su questo blog, sarà da me proposto in modo esperienziale durante le sedute di meditazione. In generale tratteremo i CINQUE OSTACOLI, e nell'incontro dell'8 novembre esamineremo il primo, il DESIDERIO.
Per una trattazione generale dei cinque ostacoli nel contesto del Satipatthana Sutta rimando ai post da me precedentemente pubblicati e in particolare si può seguire questo link: http://lorenzogiovanninimindfulness.blogspot.it/2015/02/11-la-meditazione-secondo-il.html

A breve, prima dell'8, pubblicherò ancora qualcosa a riguardo. Per ora ricordo che per partecipare non è richiesta alcuna formalità ne prenotazione. L'incontro è gratuito, dura circa 2 ore e per partecipare non è necessario essere venuti a quelli precedenti. Nel Centro c'è ampia disponibilità di materassini, coperte, cuscini e sedie per sedersi comodi. Gli assoluti principianti sono i benvenuti. 
Nella home page di questo blog trovate tutti i miei contatti per avere altre informazioni.
Quindi, aspetto tutti i volenterosi che vorranno migliorare la loro vita attraverso la consapevolezza dei cinque ostacoli! 
L'incontro successivo è il 29 novembre.

martedì 29 settembre 2015

MEDITAZIONE - 11 OTTOBRE INCONTRO GRATUITO

Riprendono gli incontri di meditazione la domenica mattina.
L'appuntamento è per l'11 ottobre alle 10 al Centro Yoga B.K.S Iyengar di via Vegezio, 6 a Roma (quartiere Balduina, non lontano dalla fermata M1 Cipro e dal trenino FM3 fermata Appiano Proba Petronia).
L'incontro è gratuito e dura un paio d'ore circa. Sono gratuitamente a disposizione pubblicazioni sulla meditazione offerti dal Monastero Santacittarama. Non c'è bisogno di prenotazione, è solo richiesta puntualità e si consigliano indumenti comodi. Al Centro ci sono cuscini e tappetini. Chi vuole, potrà lasciare un contributo per le spese della sala. In basso all'homepage di questo blog troverete tutti i miei recapiti per contattarmi in caso abbiate qualche domanda. Gli incontri proseguiranno a cadenza mensile fino a maggio.
Essi sono impegnati nella pratica della meditazione, sono perseveranti,
sono sempre dotati di una forte e stabile energia;
da saggi, essi toccano il Risveglio, lo scioglimento dei legami.
(Dhammapada)

mercoledì 17 giugno 2015

21 giugno Incontro Gratuito di Meditazione

Ultimo incontro di quest'annata, il 21 giugno alle 10 come sempre al Centro Yoga B.K.S.Iyengar di via Vegezio, 6 a Roma, zona Balduina. Contattatemi per qualsiasi informazione. Sono molto soddisfatto di questi incontri domenicali, soprattutto perchè sono serviti di stimolo a molti per entrare in contatto con i monaci del Santacittarama che sono, insieme a qualcun altro, il mio riferimento spirituale.
A settembre si ricomincia!!

martedì 2 giugno 2015

Giorgio Morandi e la Contemplazione di Consapevolezza

Sono stato oggi alla mostra che espone opere di Giorgio Morandi al Vittoriano, a Roma. Una sua frase campeggiava su un muro, in una delle prime sale:
"Per me non vi è nulla di astratto, per altro ritengo che non vi sia nulla di più surreale, di più astratto del reale". 
La sua opera, viene spesso detto, non è idealista, come lo erano molti artisti del suo tempo. Il suo contatto con le varie correnti dell'arte del tempo cessò nel 1919. E iniziò la sua contemplazione della realtà, di natura più propriamente mentale

La didascalia di questa foto a lato potrebbe essere: Morandi che contempla. Il suo sguardo si posa sugli oggetti in una sorta di "così come sono", proprio come lo sguardo interiore di chi pratica la Meditazione di Consapevolezza si posa sul respiro. E quel "così come sono" va a fondo delle cose, penetra la loro natura reale e mette di fronte ad un nulla, che non è un nulla metafisico, una trascendenza, ma un umanissimo "questo ho trovato, non ho trovato niente..." Eppure il suo sguardo continua a stare lì, fino alla sua morte nel 1964, quando si concluse la sua vita schiva e solitaria.

Mi chiedo quale strano destino sia quello di Morandi: trovare una chiave alla comunicazione della Contemplazione sul Non-sé. La sua creazione artistica era la sua modalità di Contemplazione. La vera Contemplazione, però, non ha solitamente mezzi per esprimersi, certo non le parole né i concetti (non è quindi idealista), ma rimane nel campo mentale, è la mente che trova e forse crea un suo campo nel quale liberarsi dai condizionamenti. E nella mostra al Vittoriale, in mezzo a tanti tentativi sofferti, esperimenti e prove, c'erano "discorsi"

di puro linguaggio contemplativo come questo qui a fianco. Sono "solo" oggetti, depurati di spazio, consistenza, ombra, colore, materia eccetera, ma sono oggetti. 
Ho una tentazione: attraverso questi oggetti si vede un "non-sé" proprio come nella meditazione, e si possono scorgere anche l'impermanenza della loro-nostra esistenza e una forte carica di struggimento: la nostra-loro vita non è facile. Beh, so che forse non è onesto piegare alle proprie convinzioni un grande Maestro, ma questa mostra mi ha ispirato e, potendo, mi sarei seduto qualche mezzora a contemplare molti dei suoi quadri.

lunedì 18 maggio 2015

I silenzi sconfortanti del counseling

Gli incontri di counseling spesso iniziano con un vuoto, ma di un tipo di vuoto aspro e antipatico. Si sente che il cliente si sforza a parlare, e il flusso delle sue parole non viene dal cuore, ma dal desiderio di dire qualcosa di intelligente e accettabile. Chiede aiuto, ma si difende da esso. Il counselor, (o per lo meno io) da parte sua si trova in una situazione di tensione o di confusione, provando un disagio che messo in parole suonerebbe: “come rispondo, cosa le/gli può far bene, come posso dare l’impressione di essere un professionista all’altezza delle richieste”?
È lì che rientrare in se stessi può voler dire non una chiusura, ma un tornare a casa, riconnettersi, essere presenti e “sentire” le varie sfumature della situazione. È il miracolo dell’accettazione e della consapevolezza. Ci si rende conto che forse lo spazio tra sé e il cliente non è un vuoto né è solo pieno di aria, ma va riempiendosi di uno scambio che va al di là dei contenuti che si avvicendano nel dialogo. L’esperienza che faccio è che, pur riuscendo in grandi linee a “tenere il filo” di quello che accade negli incontri, letteralmente “dimentico” i dettagli delle parole e degli argomenti, anche quelli che escono dalla mia bocca. La sfera cognitiva rimane indietro e si perde in una materia che non è la sua. Rimane una sorta di sostanza energetica concreta, che si può nettamente percepire, e magari qualche parola chiave di raccordo con il campo cognitivo.
Quando questo accade, e tutto sommato non è raro, so che qualcosa è cambiato nel cliente, in me, in noi. Questo processo è la convergenza di molti fattori, ma la “pietra filosofale”, l’enzima è la consapevolezza, condita e accompagnata da silenzio, accettazione anche e soprattutto di ciò che non ci piace, non giudizio. Mi chiedo, e chissà che ne pensano i miei colleghi con i quali condivido la visione Mindfulness della pratica del counseling, ma non è che l’empatia è in parole povere consapevolezza condivisa?

Così, in relazione alla mente dimora contemplando la mente internamente … esternamente … sia internamente sia esternamente.


Questa frase del Satipatthana Sutta, dove internamente ed esternamente significa contemplare la mente in se stessi e negli altri, diventerebbe la prima descrizione operativa dell’empatia come mezzo di sviluppo personale.

mercoledì 29 aprile 2015

Incontro gratuito di meditazione: 10 maggio

Tra giovedì 30 e domenica 5 sarò ad un ritiro di meditazione, e tornerò, spero, ricaricato per condurre il prossimo incontro gratuito di meditazione domenica 10 maggio alle 10 come al solito al Centro B.K.S. Iyengar di via Vegezio, 6 - Roma alla Balduina.

Non ci sono formalità e distribuirò a chi lo desidera degli opuscoli sulla meditazione del Monastero Santacittarama. Per informazioni cercate i miei recapiti in fondo a questa pagina e contattatemi.

domenica 19 aprile 2015

16. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.


La parte finale del Satipatthāna Sutta ha un sapore di compimento e circolarità, in quanto viene proposta la contemplazione del punto centrale dell’insegnamento del Buddha, quello che fu esposto nel suo primo discorso pronunciato davanti ai suoi primi 5 discepoli a Sarnath, le Quattro Nobili Verità. Di esse desidero qui esporre solo quanto è strettamente connesso al Satipatthāna Sutta, cominciando perciò dal testo stesso del Discorso:
“Di nuovo, o monaci, riguardo ai dhamma, egli dimora contemplando i dhamma in termini delle Quattro Nobili Verità. E riguardo ai dhamma, come dimora contemplando i dhamma in termini delle Quattro Nobili Verità? Egli conosce così com’è ‘questa è dhukkha’; egli conosce così com’è ‘questo è l’origine di dhukkha’; egli conosce così com’è ‘questa è la cessazione di dhukkha’; egli conosce così com’è ‘questo è il sentiero che conduce alla cessazione di dukkha’”.
Una attenta traduzione della parola dhukkha è qui necessaria. Infatti non si tratta tanto di “sofferenza” (come è spesso tradotta) che implica una qualità intrinseca dei fenomeni (i fenomeni sono di per sé fonte di sofferenza), quanto di una qualità affettiva insita in colui che i fenomeni li percepisce. Tutti i fenomeni sono cioè insoddisfacenti, e dhukkha viene perciò tradotta in inglese con unsatisfactoriness, che in italiano potrebbe suonare “insoddisfacenza” (per esempio il Discorso, alla seconda Nobile Verità, direbbe “questo è l’origine dell’insoddisfacenza”), e per evitare un simile sgorbio si lascia per lo più la parola non tradotta. Con maggiore precisione, dhukkha è la nostra reazione irritata, contrariata, al contatto con ciò che è insoddisfacente.
Il discorso invita per così dire a guardare la realtà con le lenti delle Quattro Nobili Verità, ed esse possono entrare in una singola proposizione che suonerà così: nel nostro rincorrere (la “sete”, vera origine di dukkha) la non-sofferenza ci aggrappiamo ai fenomeni cercando una soluzione che non troviamo data la loro “insoddisfacenza”, moltiplicando così la sofferenza. Ma questa ricerca è vana, perché solo intervenendo per fare in modo di far cessare la nostra sete (terza Nobile Verità), tramite l’Ottuplice Sentiero, (quarta Nobile Verità), potremo superare il moto emotivo-affettivo della reazione all’”insoddisfacenza”, liberandoci così dalla sofferenza.
Anche questo schema è tratto dalla medicina del tempo, confermando l’atteggiamento “terapeutico” del Buddha:
1.    Dhukkha = malattia.
2.    Origine = eziologia.
3.    Cessazione = salute.
4.    Sentiero = cura.
Contemplare i fenomeni con le lenti delle Quattro Nobili Verità è il culmine di un percorso per il quale ci si è dovuti equipaggiare tramite tutte le indicazioni contenute nel Discorso: la consapevolezza del corpo, delle sensazioni, della mente e dei dhamma: quelli che ci costituiscono come individui, e tramite i quali operiamo, quelli che ci ostacolano e quelli che ci favoriscono nel Sentiero. Al culmine di tutto ciò, la contemplazione delle Quattro Nobili Verità hanno un forte accento pratico: dhukkha deve essere compresa, il sorgere deve essere abbandonato, la cessazione deve essere realizzata, il sentiero deve essere sviluppato. Di nuovo, un riferimento alle parti precedenti del Discorso: i cinque aggregati devono essere compresi, l’ignoranza e il desiderio devono essere abbandonati, raccoglimento ed equanimità devono essere realizzati, calma e visione profonda devono essere sviluppati.

E qui si conclude la mia esposizione del Satipatthāna Sutta con una buona notizia. Sono venuto a sapere che il libro Satipatthāna di Ajahn Analayo, sul quale mi sono ampiamente basato per questi miei post, sarà disponibile in tempi non lunghissimi anche in italiano. Spero nel frattempo di aver fatto qualcosa di utile per qualcuno.

martedì 7 aprile 2015

Incontri gratuiti di meditazione: Primavera 2015

Continuo a tenere una volta al mese gli incontri gratuiti di meditazione di domenica mattina alle 10.
Ecco le date: 12 aprile - 10 maggio - 7 giugno.
la location è la solita, il Centro Yoga B.K.S.Iyengar di via Vegezio 6 a Roma, quartiere Balduina, raggiungibile con la FM3 ma non lontanissimo dalla M1.
Non ci sono formalità, basta venire puntuali e dotati di 2 ore di tempo. Cuscini e coperte per sedersi ci sono. Per altre info lasciate un commento, scrivetemi email, telefonatemi, insomma, quello che vi pare.

Dialogo di altri tempi: un link

Il mio amico di Facebook Flavio Pelliconi è stato protagonista di un dialogo sul Buddhismo, poi riportato sul suo blog, di cui allego il link http://www.flavatar.it/altre-domande-sul-buddhismo/?fb_action_ids=682853795159669&fb_action_types=news.publishes&fb_ref=pub-standard .
Si tratta di una serie di domande e risposte che ha un sapore antico di due persone che mirano in alto pur mantenendo una notevole libertà intellettuale. La lode va a Flavio ma anche al suo interlocutore, una vera "mente da principiante".

mercoledì 1 aprile 2015

15. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

I sette Fattori dell'Illuminazione
Dopo aver focalizzato l’attenzione sulle parti che appaiono costituire la nostra individualità (corpo, sensazioni, mente, aggregati, ostacoli, sistema percettivo) il Discorso presenta la Consapevolezza sulle qualità mentali che conducono al risveglio, vale a dire i Sette Fattori dell’Illuminazione. Essi sono:
1.    Consapevolezza.
2.    Investigazione.
3.    Energia.
4.    Gioia.
5.    Tranquillità.
6.    Raccoglimento.
7.    Equanimità.

Anche di queste qualità sono indicate le modalità di attenzione. Ad esempio, della Consapevolezza, “se non è presente in lui egli sa: non c’è consapevolezza presente in me; egli sa come risvegliare in sé il fattore consapevolezza non presente in lui, e come perfezionare e sviluppare il fattore consapevolezza quando è presente in lui”.
A partire dalla consapevolezza, vero e proprio fondamento, vengono prima enumerati 3 fattori atti a stimolare e dare impeto ad una mente incerta e pigra, seguiti da altri tre fattori che favoriscono la quiete e la pace.
Il fondamento della consapevolezza è importante perché anche in questo caso non è prescritta alcuna azione particolare se non la semplice attenzione cosciente. Infatti, se la mera consapevolezza è in grado di annullare l’influsso di ognuno dei cinque ostacoli, essa spontaneamente favorisce lo sviluppo degli altri fattori di illuminazione.
Il termine usato dal Buddha per il secondo fattore, Dhammavicaya, può essere inteso sia come investigazione dei dhamma, vale a dire dei fenomeni, quanto investigazione del Dhamma, cioè della Dottrina. Il risultato sarà comunque un discernimento, nella propria esperienza di ciò che è salutare e utile nel cammino da ciò che non lo è, consentendo ulteriori progressi debellando l’ostacolo del dubbio. Ci si troverà quindi nelle condizioni di attingere ad un rinnovato vigore, uno slancio lungo il sentiero che, anche in virtù della sua naturalezza, avrà la caratteristica della costanza, in contrasto con l’ostacolo della pigrizia e del torpore. L’energia conduce alla gioia, primo termine di una triplice sequenza spesso ripetuta in molti dei discorsi: gioia che porta alla tranquillità che porta al raccoglimento (uso questa parola per tradurre samādhi al posto della più consueta “concentrazione” a causa del sottinteso escludente di quest’ultima: il raccoglimento è focalizzato e inclusivo). La tranquillità è la contro qualità dell’ostacolo irrequietezza e preoccupazione, e il raccoglimento nascerà da un senso di appagamento e compiutezza, propria della tranquillità stessa. Il raccoglimento profondo culmina nell’equanimità: una volta considerati i fenomeni percepiti e le varie parti che ci costituiscono per quel che sono, una volta messo il tutto sotto la luce della consapevolezza, osservato di prima mano il loro sorgere e svanire, si potrà stare, come dice il “ritornello” del discorso “indipendenti, senza desiderare nulla al mondo”.
Concludo sottolineando 2 punti importanti: secondo molti discorsi del Buddha, fatto ribadito spesso nei commentari antichi, il sentiero spirituale consiste essenzialmente nel superare i 5 ostacoli e sviluppare i 7 fattori dell’illuminazione. Va detto infine che la contemplazione di questi ultimi non va considerata una pratica in sé, ma può affiancare la modalità abituale di meditazione di ognuno, sviluppandosi quando è necessario o quando si è particolarmente ispirati.

L’insegnamento dei 7 fattori dell’illuminazione è descritto, a differenza di altri, come specifico e unico del Buddhismo e il possesso dei 7 fattori è paragonato a quello dei 7 tesori del Monarca Universale (credenza, quest’ultima, diffusa in ambito indù).

venerdì 20 marzo 2015

14. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

 I Dhamma – 2. Le sei basi interne ed esterne dei sensi.
Vorrei completare il post precedente, che riguarda le 6 sfere dei sensi, con alcune righe di approfondimento riguardo ai “legami” che sorgono in dipendenza tanto degli organi quanto degli oggetti dei sensi. Per “legami” (samyojana in Pāli, fetter in inglese) si intende una qualità mentale dotata di uno speciale potere condizionante. Se la consapevolezza non entra in campo, l’energia di questo condizionamento verrà proiettata sull’oggetto, e si dirà quindi che io soffro, gioisco o altro a causa di questo o quello.
Nei discorsi del Buddha ci si riferisce ai legami elencandone solitamente 10:
1.    Credenza in un sé sostanziale e permanente.
2.    Dubbio.
3.    Credenza nell’efficacia di riti, regole e cerimonie.
4.    Desiderio sensuale.
5.    Avversione.
6.    Desiderio di un’esistenza materiale confortevole.
7.    Desiderio di un’esistenza immateriale.
8.    Orgoglio.
9.    Irrequietezza.
1.  Ignoranza.
Molto è stato scritto sulla gradualità e sequenzialità dello sradicamento dei legami e sono state fatte connessioni tra il loro superamento e i successivi livelli di realizzazione. Ma qui ci interessa sapere che nella pratica formale della Meditazione di Consapevolezza probabilmente non si incontreranno tutti e 10 i legami, ma è importante ricordare le indicazioni del Discorso sia in questa che nella vita di tutti i giorni (dato che in ogni momento della nostra esistenza percepiamo qualche cosa). Di nuovo, come per i 5 ostacoli, il Buddha propone una procedura tratta dal modello medico: diagnosi cura e prevenzione (come un legame sorge, come può essere rimosso, come impedire il suo sorgere nel futuro). Ma forse l’istruzione più importante è quella di notare sistematicamente il nesso condizionato (e condizionante) tra percezione e legami. Notare, illuminare, essere consapevoli, non interferire sulla base di giudizi, indicazioni morali o altro. L’esperienza della ripetuta consapevolezza del meccanismo di condizionamento farà sì che si riesca a prevenire, con la pratica e l’attenzione, il sorgere di un legame.

Gli aggregati e i 5 ostacoli sono parti costitutive della nostra individualità, ma le tendenze latenti, gli influssi, i legami sono tutti condizionati dalle prime fasi del processo di percezione. Queste righe del Discorso invitano a rivolgere l’attenzione a questo, in un lavoro di sempre maggiore raffinazione della pratica.

lunedì 9 marzo 2015

15 marzo - incontro gratuito di meditazione

Condurrò il prossimo incontro gratuito di meditazione il 15 marzo alle 10 nella solita sede: il centro B.K.S.Iyengar di via Vegezio, 6 alla Balduina, Roma.
Durerà circa 2 ore e sarà strutturato nel solito modo: una meditazione guidata, domande e risposte, e nuova meditazione. Non è necessaria prenotazione, non ci sono formalità. nella homepage di questo blog ci sono tutti i recapiti per chiedermi informazioni, o si può anche lasciare un commento a questo post.

sabato 28 febbraio 2015

13 La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

I Dhamma – Le sei basi interne ed esterne dei sensi.
Dopo l’approfondimento della personalità soggettiva secondo lo schema dei 5 aggregati, viene affrontato e analizzato, nelle sue modalità essenziali il tema della percezione. Infatti il Satipatthāna Sutta prescrive ora la consapevolezza delle sei sfere dei sensi. Il praticante è esortato a conoscere:
1.    L’occhio, la forma e quel legame che sorge in dipendenza da questi due.
2.    L’orecchio, il suono e quel legame che sorge in dipendenza da questi due.
3.    Il naso, gli odori e quel legame che sorge in dipendenza da questi due.
4.    La lingua, i sapori e quel legame che sorge in dipendenza da questi due.
5.    Il corpo, gli oggetti tattili e quel legame che sorge in dipendenza da questi due.
6.    La mente, gli oggetti mentali e quel legame che sorge in dipendenza da questi due.

Di tutte e sei le basi bisogna inoltre:
  1. Sapere come un legame non sorto può sorgere.
  2. Sapere come un legame sorto può essere rimosso.
  3. Sapere come può essere prevenuto il futuro sorgere di un legame.
Va prima di tutto notato che la mente è considerata un organo di senso al pari degli altri cinque. Secondo il Buddha (e probabilmente secondo molti indiani del suo tempo) la mente gli oggetti mentali, siano essi pensieri, ragionamenti, riflessioni, ricordi, vengono “ricevuti dalla mente al pari, ad esempio, di una forma di un oggetto dall’occhio. Comunque la mente, di suo, interagisce con gli altri sensi e contribuisce con la sua complessa attività, a “dare senso” alle altre percezioni.

La consapevolezza delle 6 sfere dei sensi è inizialmente duplice: l’organo percettore e l’oggetto percepito, riconoscendo così nel processo una componente soggettiva e una oggettiva. Ciò allude al fatto che la percezione non è un evento per così dire clinico e imparziale, ma è influenzata dal modo in cui le impressioni vengono ricevute e riconosciute. Il Buddha sostiene che questa componente soggettiva possa fungere da elemento di disturbo e innescare il sorgere di un legame. Nei Discorsi viene spiegato diverse volte come la percezione inizia con un contatto, prosegue con una discriminazione affettiva (mi piace/non mi piace) ed una cognitiva (che cosa è?) che provocano l’attivarsi del pensiero e poi della proliferazione mentale, oltre alla volontà. Di tutto questo siamo per lo più spettatori passivi, per quanta sia la forza con cui rivendichiamo come nostro l’articolarsi della nostra attività mentale, spinti in questo da meccanismi condizionanti inconsci (vedere sotto). La proliferazione e i suoi contenuti vengono ri-proiettati sulla realtà, e in questo modo ci troviamo ad essere attori in un mondo che senza saperlo abbiamo creato in gran parte noi.
Per lo più la componente soggettiva segue indirizzi fondati sull’esperienza, su cause e condizioni varie, sul karma, qualsiasi cosa questa parola possa significare. Questi indirizzi sono spesso descritti nei discorsi con i termini di “tendenze latenti” e di “influssi”, le liste dei quali sono variamente composte: desiderio sensuale, desiderio di esistenza, ignoranza, irritazione, dubbio, orgoglio, opinioni.
In un celebre discorso, “le istruzioni a Bāhiya”, il Buddha affronta a viso aperto le problematiche relative alla percezione, offrendo precise istruzioni:
“Quando, Bāhiya, in ciò che è visto ci sarà solo ciò che è visto, in ciò che è udito vi sarà solo ciò che è udito, in ciò che è percepito vi sarà solo ciò che è percepito, in ciò che è conosciuto vi sarà solo ciò che è conosciuto, allora tu non ti identificherai più con quello, e quando non ti identificherai più con quello non sarai più in quello, quando non sarai più in quello non sarai né qui né al di là, ne in ambedue i luoghi. Proprio questa è la fine della sofferenza”.
C’è un altro aspetto nell’attenersi a “solo ciò che è visto udito, ecc.”: gli aspetti inconsci della percezione che abbiamo descritto portano in primo piano dei “segni” o “caratteristiche secondarie”. Una forma vagamente sferica di colore rosso variegato sarà subito una mela, buona, desiderabile e così via pensando e proliferando. La pratica della consapevolezza indirizzata alla percezione favorisce, e a sua volta viene favorita dalla moderazione dei sensi. Con quest’ultimo termine non si intende l’adeguarsi a divieti, comportamenti, né il seguire linee guida morali (peraltro non escluse dal Buddha), quanto per l’appunto trovare una sorta di “verità” nel confrontarsi con ciò che ai sensi attiene, vale a dire la chiara visione del percepire, dell’emergere di segni e caratteristiche secondarie, il sorgere delle tendenze latenti, degli influssi, dell’attività del pensiero e della proliferazione mentale. Con un adeguato allenamento si seguirà, in conseguenza alla percezione una linea di condotta più centrata e meno condizionata. Spesso si dice che la conseguenza della moderazione dei sensi è una grande gioia e pace interiore.

Sulla base di questa moderazione si può infine coltivare un vero e proprio training cognitivo. La caratteristica secondaria “bellezza”, cognizione derivante da esperienza e condizionamenti, può essere moderata dalla cognizione della sua impermanenza (definita invece, insieme a sofferenza e non sé, “caratteristica essenziale dell’esistenza condizionata”). La natura attraente del cibo, dalla consapevolezza del pericolo derivante dal suo eccessivo consumo, e così via. C’è molto da darsi da fare nel lavoro della consapevolezza, che è in realtà un non-fare.

venerdì 20 febbraio 2015

12. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta

I Dhamma – I 5 aggregati
Si passa ora alla contemplazione dei 5 aggregati, che costituiscono i “mattoni” che costruiscono l’erroneo convincimento che esista un “me stesso”. I cinque aggregati sono:
1.    La forma materiale.
2.    La sensazione.
3.    La cognizione.
4.    La volizione.
5.    La coscienza.
Il termine usato dal Buddha, pañcupādānakkhanda, significa letteralmente “cinque aggregati dell’attaccamento”. “Attaccamento” si riferisce alla bramosia che questi aggregati suscitano, che a sua volta è la causa radicale della sofferenza. Vengono chiamati “aggregati” perché il termine viene inteso come una sorta di ombrello per tutte le possibili istanze di ogni termine: passato, presente o futuro, interno o esterno, sottile o grossolano, inferiore o superiore, eccetera. Per quanto possa oggi apparire singolare, c’è motivo di credere che parlare di cinque aggregati fosse tanto ordinario nell’India antica quanto per le carmelitane del XVI secolo parlare di “potenze dell’anima”
In termini pratici, è come se il Buddha volesse rispondere a questa domanda: “basandoci esclusivamente sulla nostra esperienza, quali sono le componenti che costituiscono la nostra individualità, il nostro sentirci un io”? La risposta è che c’è un corpo materiale (1), che prova delle sensazioni piacevoli, spiacevoli o neutre (2), fa cioè un esperienza qualitativa della realtà. Sulla base delle percezioni, formuliamo delle elaborazioni cognitive (3), che ci consentono (anche sulla base della memoria, termine a volte usato in alternativa a “cognizioni”) di sapere che cosa abbiamo di fronte. A questo punto la nostra azione si indirizzerà seguendo delle direttrici fondate sulla nostra volontà (4). Tutto questo processo è osservato dalla coscienza (5), e questa osservazione darà luogo alla convinzione inconscia (che è però per noi il dato più ovvio e “normale” che si affaccia al nostro essere vivi in questo mondo) che esista una individualità, un nucleo soggettivo cui esso si può riferire. Il discorso, però intende minare questo stato di cose con il consueto metodo della consapevolezza e della chiara comprensione: si raccomanda infatti, per ognuno degli aggregati di:
1.    Osservarlo.
2.    Osservarne il sorgere.
3.    Osservarne il cessare.
Di nuovo, il punto cardine della pratica è l’osservazione dell’impermanenza. Ripetiamo la domanda dalla quale siamo partiti: “basandoci esclusivamente sulla nostra esperienza, quali sono le componenti che costituiscono la nostra individualità, il nostro sentirci un io”? C’è un corpo che sussiste a condizione che gli siano forniti cibo, acqua e altri requisiti minimi; ci sono delle sensazioni che sorgono, cessano e cambiano continuamente (e lo stesso può dirsi delle cognizioni), in un continuo gioco di condizionamenti e reazioni. La nostra volontà in questo senso non è autonoma, ma schiava dei due aggregati precedenti. La coscienza, infine, rispecchia questo processo dinamico e a sua volta in esso si rispecchia. Nel momento in cui si contempla a fondo l’impermanenza di tutto questo insieme di rimandi e dei suoi singoli componenti, e si contempla come tutto ciò sia, come si usa oggi dire, autoreferenziale, si può avere l’intuizione dell’anattā, o non-sé, termine con il quale il Buddha pone la sua differenziazione dalle visioni nichiliste quanto da quelle sostanzialiste. L’intuizione liberatoria è quella di realizzare che, sulla base della nostra esperienza, non constatiamo l’esistenza di nessun ente esistente in sé, e allo stesso tempo la contemplazione dell’infinita rete di condizionamenti, nei quali siamo parte attiva volenti o nolenti, non ci esime dalla responsabilità personale delle nostre azioni, allontanandoci così dalle posizioni nichiliste.

La contemplazione dei 5 aggregati svela la loro vera natura: sono semplici proiezioni.

martedì 10 febbraio 2015

11. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta - I 5 ostacoli

I Dhamma – I 5 ostacoli.
Affrontiamo ora il quarto e ultimo Satipatthāna che è noto come “I Dhamma” e che è costituito, come il primo, il Corpo, da diverse sezioni, in questo caso 5. È necessario soffermarsi sul significato del termine “Dhamma”, tanto per precisione quanto perché non c’è unanimità su di esso. La parola Dhamma (e il suo più noto corrispondente sanscrito Dharma che ricorre anche nell’induismo) può significare molte cose. Se l’etimologia fa riferimento ad una sorta di legge naturale eterna (“ciò che sostiene tutte le cose”), nell’uso corrente, anche nell’antichità, ha assunto il significato di quello che noi in occidente chiameremmo “religione”, o anche più specificatamente “insegnamento” (“il Dhamma del Buddha”). Nei Discorsi, il Buddha usa frequentemente questa parola anche per indicare ciò che è all’interno dell’ordine cosmico, vale a dire i fenomeni.
Questo ha spinto molti commentatori a intendere i Dhamma-come-Satipatthāna con il significato di “fenomeni mentali”, una sorta di “varie ed eventuali” (ho sentito personalmente un insegnante usare in questo senso la parola inglese “sundries”) dei contenuti mentali. Così il terzo Satipatthāna si riferisce agli stati mentali (qualità), mentre il quarto ai contenuti.
Preferisco per molti motivi attenermi a coloro (e tra essi Ajahn Anālayo, che è la maggiore fonte di ispirazione di questi post) che invece restituisce alla parola Dhamma il significato di insegnamento, o elementi dell’insegnamento. I cinque Dhamma trattati nel Satipatthāna Sutta sono:
1)    I cinque ostacoli.
2)    I cinque aggregati.
3)    Le sei basi dei sensi.
4)    I sette fattori dell’illuminazione.
5)    Le Quattro Nobili Verità.
Non si tratta, a mio avviso, tanto di oggetti mentali, ma di specifiche qualità mentali e di analisi dell’esperienza secondo determinate categorie, o anche criteri da applicare nel lavoro consapevolezza degli oggetti mentali. Per dirla in breve, l’invito è di considerare la propria esperienza interiore alla luce della dottrina, non in una modalità filosofica ma sempre esperienziale, attenendosi al qui e ora, stando con “quello che c’è”. I cinque Dhamma sopraelencati ricorrono nel discorso in una sequenza progressiva, che accompagna il progredire del praticante: una volta affrontati i cinque ostacoli si potrà vedere se stessi in termini più essenziali, vale a dire che si farà l’esperienza di se stessi come costituiti dai cinque aggregati e operanti mediante le sei sfere dei sensi. A quel punto si potranno sviluppare i sette fattori dell’illuminazione che condurranno alla realizzazione delle Quattro Nobili Verità.
Vediamo i 5 ostacoli, che a ben vedere sono 7:
1.    Desiderio sensuale.
2.    Avversione.
3.    Torpore e indolenza.
4.    Agitazione e preoccupazione.
5.    Dubbio.
In più, il Buddha non prescrive soltanto la consapevolezza dell’esistenza o meno, in un dato momento, di questo o quell’ostacolo, ma esorta a:
1.    Se sta sorgendo, conoscere le condizioni che conducono al sorgere del determinato ostacolo.
2.    Se presente, conoscere le condizioni che conducono al suo cessare.
3.    Se rimosso, conoscere le condizioni che possono prevenire il suo futuro risorgere.
Il lavoro è quindi ben delineato, e può svolgersi tanto in termini discorsivi quanto più sottili, sempre passando attraverso la consapevolezza, un “sentire” che si articola a più livelli, i “soliti” corpo-cuore-mente. Questo secondo lavoro è necessario soprattutto se il semplice “notare” non è accompagnato immediatamente dallo svanire dell’ostacolo.
Ma ci sono altre considerazioni da fare: desiderio e avversione sono, insieme alla confusione, i classici “tre veleni”, il substrato o “tendenze latenti” che sono alla base del nostro reagire alla sofferenza creando più sofferenza. A rigor di termini, ogni oggetto mentale non salutare può essere classificato come derivante dal desiderio o dall’avversione. Il lavoro proposto dal Satipatthāna Sutta può essere utile in termini di indagine e di discriminazione.
Un altro aspetto importante concernente l’ostacolo “Avversione” è il suo antidoto: la benevolenza o gentilezza amorevole, insomma, la ben nota Mettā. Essa può sì essere impiegata inizialmente per superare l’avversione, ma la sua pratica ha infinite potenzialità, mano mano che si scoprirà dentro di sé l’estensione infinita dell’avversione. Molti maestri usano la Mettā come pratica preparatoria alla meditazione di Visione Profonda.
Gli antidoti a torpore e indolenza e a agitazione e preoccupazione possono apparire diciamo così “tecnici” (nel primo caso respirare profondamente o alzarsi, nel secondo una delle tante pratiche volte ad acquietare la mente – ne ho parlato nel precedente post), ma non sempre bastano, specialmente quando il sorgere di questi ostacoli è frequente e sistematico. Anche in questo caso è necessario approfondire l’indagine.
In questo contesto il dubbio viene visto come la mancanza di capacità di distinguere ciò che è salutare da ciò che non lo è, e si capisce da quanto sopra che questa è un’abilità fondamentale nella consapevolezza: consapevolezza di ciò che è, in una realtà mutevole e sfuggente. L’antidoto al dubbio, non a caso, è l’investigazione del Dhamma (ed è bene notare che non è la fede).

Infine, voglio ricordare che è generalmente inteso che gli stati di assorbimento meditativo (jhana) sono possibili nel momento in cui i cinque ostacoli sono rimossi o anche temporaneamente sospesi. Ciò produce una condizione piacevole, e questo piacere conduce alla concentrazione. Il superamento dei cinque ostacoli è quindi importante sia dal punto di vista della Visione Profonda (Vipassanā) che da quello della Calma Mentale (Samathā).