sabato 28 febbraio 2015

13 La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.

I Dhamma – Le sei basi interne ed esterne dei sensi.
Dopo l’approfondimento della personalità soggettiva secondo lo schema dei 5 aggregati, viene affrontato e analizzato, nelle sue modalità essenziali il tema della percezione. Infatti il Satipatthāna Sutta prescrive ora la consapevolezza delle sei sfere dei sensi. Il praticante è esortato a conoscere:
1.    L’occhio, la forma e quel legame che sorge in dipendenza da questi due.
2.    L’orecchio, il suono e quel legame che sorge in dipendenza da questi due.
3.    Il naso, gli odori e quel legame che sorge in dipendenza da questi due.
4.    La lingua, i sapori e quel legame che sorge in dipendenza da questi due.
5.    Il corpo, gli oggetti tattili e quel legame che sorge in dipendenza da questi due.
6.    La mente, gli oggetti mentali e quel legame che sorge in dipendenza da questi due.

Di tutte e sei le basi bisogna inoltre:
  1. Sapere come un legame non sorto può sorgere.
  2. Sapere come un legame sorto può essere rimosso.
  3. Sapere come può essere prevenuto il futuro sorgere di un legame.
Va prima di tutto notato che la mente è considerata un organo di senso al pari degli altri cinque. Secondo il Buddha (e probabilmente secondo molti indiani del suo tempo) la mente gli oggetti mentali, siano essi pensieri, ragionamenti, riflessioni, ricordi, vengono “ricevuti dalla mente al pari, ad esempio, di una forma di un oggetto dall’occhio. Comunque la mente, di suo, interagisce con gli altri sensi e contribuisce con la sua complessa attività, a “dare senso” alle altre percezioni.

La consapevolezza delle 6 sfere dei sensi è inizialmente duplice: l’organo percettore e l’oggetto percepito, riconoscendo così nel processo una componente soggettiva e una oggettiva. Ciò allude al fatto che la percezione non è un evento per così dire clinico e imparziale, ma è influenzata dal modo in cui le impressioni vengono ricevute e riconosciute. Il Buddha sostiene che questa componente soggettiva possa fungere da elemento di disturbo e innescare il sorgere di un legame. Nei Discorsi viene spiegato diverse volte come la percezione inizia con un contatto, prosegue con una discriminazione affettiva (mi piace/non mi piace) ed una cognitiva (che cosa è?) che provocano l’attivarsi del pensiero e poi della proliferazione mentale, oltre alla volontà. Di tutto questo siamo per lo più spettatori passivi, per quanta sia la forza con cui rivendichiamo come nostro l’articolarsi della nostra attività mentale, spinti in questo da meccanismi condizionanti inconsci (vedere sotto). La proliferazione e i suoi contenuti vengono ri-proiettati sulla realtà, e in questo modo ci troviamo ad essere attori in un mondo che senza saperlo abbiamo creato in gran parte noi.
Per lo più la componente soggettiva segue indirizzi fondati sull’esperienza, su cause e condizioni varie, sul karma, qualsiasi cosa questa parola possa significare. Questi indirizzi sono spesso descritti nei discorsi con i termini di “tendenze latenti” e di “influssi”, le liste dei quali sono variamente composte: desiderio sensuale, desiderio di esistenza, ignoranza, irritazione, dubbio, orgoglio, opinioni.
In un celebre discorso, “le istruzioni a Bāhiya”, il Buddha affronta a viso aperto le problematiche relative alla percezione, offrendo precise istruzioni:
“Quando, Bāhiya, in ciò che è visto ci sarà solo ciò che è visto, in ciò che è udito vi sarà solo ciò che è udito, in ciò che è percepito vi sarà solo ciò che è percepito, in ciò che è conosciuto vi sarà solo ciò che è conosciuto, allora tu non ti identificherai più con quello, e quando non ti identificherai più con quello non sarai più in quello, quando non sarai più in quello non sarai né qui né al di là, ne in ambedue i luoghi. Proprio questa è la fine della sofferenza”.
C’è un altro aspetto nell’attenersi a “solo ciò che è visto udito, ecc.”: gli aspetti inconsci della percezione che abbiamo descritto portano in primo piano dei “segni” o “caratteristiche secondarie”. Una forma vagamente sferica di colore rosso variegato sarà subito una mela, buona, desiderabile e così via pensando e proliferando. La pratica della consapevolezza indirizzata alla percezione favorisce, e a sua volta viene favorita dalla moderazione dei sensi. Con quest’ultimo termine non si intende l’adeguarsi a divieti, comportamenti, né il seguire linee guida morali (peraltro non escluse dal Buddha), quanto per l’appunto trovare una sorta di “verità” nel confrontarsi con ciò che ai sensi attiene, vale a dire la chiara visione del percepire, dell’emergere di segni e caratteristiche secondarie, il sorgere delle tendenze latenti, degli influssi, dell’attività del pensiero e della proliferazione mentale. Con un adeguato allenamento si seguirà, in conseguenza alla percezione una linea di condotta più centrata e meno condizionata. Spesso si dice che la conseguenza della moderazione dei sensi è una grande gioia e pace interiore.

Sulla base di questa moderazione si può infine coltivare un vero e proprio training cognitivo. La caratteristica secondaria “bellezza”, cognizione derivante da esperienza e condizionamenti, può essere moderata dalla cognizione della sua impermanenza (definita invece, insieme a sofferenza e non sé, “caratteristica essenziale dell’esistenza condizionata”). La natura attraente del cibo, dalla consapevolezza del pericolo derivante dal suo eccessivo consumo, e così via. C’è molto da darsi da fare nel lavoro della consapevolezza, che è in realtà un non-fare.

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