La parte finale del
Satipatthāna Sutta ha un sapore di compimento e circolarità, in quanto viene
proposta la contemplazione del punto centrale dell’insegnamento del Buddha,
quello che fu esposto nel suo primo discorso pronunciato davanti ai suoi primi
5 discepoli a Sarnath, le Quattro Nobili Verità. Di esse desidero qui esporre
solo quanto è strettamente connesso al Satipatthāna Sutta, cominciando perciò
dal testo stesso del Discorso:
“Di nuovo, o monaci,
riguardo ai dhamma, egli dimora contemplando i dhamma in termini delle Quattro
Nobili Verità. E riguardo ai dhamma, come dimora contemplando i dhamma in
termini delle Quattro Nobili Verità? Egli conosce così com’è ‘questa è
dhukkha’; egli conosce così com’è ‘questo è l’origine di dhukkha’; egli conosce
così com’è ‘questa è la cessazione di dhukkha’; egli conosce così com’è ‘questo
è il sentiero che conduce alla cessazione di dukkha’”.
Una attenta traduzione
della parola dhukkha è qui necessaria. Infatti non si tratta tanto di
“sofferenza” (come è spesso tradotta) che implica una qualità intrinseca dei
fenomeni (i fenomeni sono di per sé fonte di sofferenza), quanto di una qualità
affettiva insita in colui che i fenomeni li percepisce. Tutti i fenomeni sono
cioè insoddisfacenti, e dhukkha viene perciò tradotta in inglese con
unsatisfactoriness, che in italiano potrebbe suonare “insoddisfacenza” (per
esempio il Discorso, alla seconda Nobile Verità, direbbe “questo è l’origine dell’insoddisfacenza”),
e per evitare un simile sgorbio si lascia per lo più la parola non tradotta.
Con maggiore precisione, dhukkha è la nostra reazione irritata, contrariata, al
contatto con ciò che è insoddisfacente.
Il discorso invita per
così dire a guardare la realtà con le lenti delle Quattro Nobili Verità, ed
esse possono entrare in una singola proposizione che suonerà così: nel nostro
rincorrere (la “sete”, vera origine di dukkha) la non-sofferenza ci aggrappiamo
ai fenomeni cercando una soluzione che non troviamo data la loro
“insoddisfacenza”, moltiplicando così la sofferenza. Ma questa ricerca è vana,
perché solo intervenendo per fare in modo di far cessare la nostra sete (terza
Nobile Verità), tramite l’Ottuplice Sentiero, (quarta Nobile Verità), potremo
superare il moto emotivo-affettivo della reazione all’”insoddisfacenza”,
liberandoci così dalla sofferenza.
Anche questo schema è
tratto dalla medicina del tempo, confermando l’atteggiamento “terapeutico” del
Buddha:
1.
Dhukkha
= malattia.
2.
Origine
= eziologia.
3.
Cessazione
= salute.
4.
Sentiero
= cura.
Contemplare i fenomeni
con le lenti delle Quattro Nobili Verità è il culmine di un percorso per il
quale ci si è dovuti equipaggiare tramite tutte le indicazioni contenute nel
Discorso: la consapevolezza del corpo, delle sensazioni, della mente e dei
dhamma: quelli che ci costituiscono come individui, e tramite i quali operiamo,
quelli che ci ostacolano e quelli che ci favoriscono nel Sentiero. Al culmine
di tutto ciò, la contemplazione delle Quattro Nobili Verità hanno un forte
accento pratico: dhukkha deve essere compresa, il sorgere deve essere
abbandonato, la cessazione deve essere realizzata, il sentiero deve essere
sviluppato. Di nuovo, un riferimento alle parti precedenti del Discorso: i
cinque aggregati devono essere compresi, l’ignoranza e il desiderio devono
essere abbandonati, raccoglimento ed equanimità devono essere realizzati, calma
e visione profonda devono essere sviluppati.
E qui si conclude la
mia esposizione del Satipatthāna Sutta con una buona notizia. Sono venuto a
sapere che il libro Satipatthāna di Ajahn Analayo, sul quale mi sono ampiamente
basato per questi miei post, sarà disponibile in tempi non lunghissimi anche in
italiano. Spero nel frattempo di aver fatto qualcosa di utile per qualcuno.
Nessun commento:
Posta un commento