domenica 19 aprile 2015

16. La meditazione secondo il Satipatthāna Sutta.


La parte finale del Satipatthāna Sutta ha un sapore di compimento e circolarità, in quanto viene proposta la contemplazione del punto centrale dell’insegnamento del Buddha, quello che fu esposto nel suo primo discorso pronunciato davanti ai suoi primi 5 discepoli a Sarnath, le Quattro Nobili Verità. Di esse desidero qui esporre solo quanto è strettamente connesso al Satipatthāna Sutta, cominciando perciò dal testo stesso del Discorso:
“Di nuovo, o monaci, riguardo ai dhamma, egli dimora contemplando i dhamma in termini delle Quattro Nobili Verità. E riguardo ai dhamma, come dimora contemplando i dhamma in termini delle Quattro Nobili Verità? Egli conosce così com’è ‘questa è dhukkha’; egli conosce così com’è ‘questo è l’origine di dhukkha’; egli conosce così com’è ‘questa è la cessazione di dhukkha’; egli conosce così com’è ‘questo è il sentiero che conduce alla cessazione di dukkha’”.
Una attenta traduzione della parola dhukkha è qui necessaria. Infatti non si tratta tanto di “sofferenza” (come è spesso tradotta) che implica una qualità intrinseca dei fenomeni (i fenomeni sono di per sé fonte di sofferenza), quanto di una qualità affettiva insita in colui che i fenomeni li percepisce. Tutti i fenomeni sono cioè insoddisfacenti, e dhukkha viene perciò tradotta in inglese con unsatisfactoriness, che in italiano potrebbe suonare “insoddisfacenza” (per esempio il Discorso, alla seconda Nobile Verità, direbbe “questo è l’origine dell’insoddisfacenza”), e per evitare un simile sgorbio si lascia per lo più la parola non tradotta. Con maggiore precisione, dhukkha è la nostra reazione irritata, contrariata, al contatto con ciò che è insoddisfacente.
Il discorso invita per così dire a guardare la realtà con le lenti delle Quattro Nobili Verità, ed esse possono entrare in una singola proposizione che suonerà così: nel nostro rincorrere (la “sete”, vera origine di dukkha) la non-sofferenza ci aggrappiamo ai fenomeni cercando una soluzione che non troviamo data la loro “insoddisfacenza”, moltiplicando così la sofferenza. Ma questa ricerca è vana, perché solo intervenendo per fare in modo di far cessare la nostra sete (terza Nobile Verità), tramite l’Ottuplice Sentiero, (quarta Nobile Verità), potremo superare il moto emotivo-affettivo della reazione all’”insoddisfacenza”, liberandoci così dalla sofferenza.
Anche questo schema è tratto dalla medicina del tempo, confermando l’atteggiamento “terapeutico” del Buddha:
1.    Dhukkha = malattia.
2.    Origine = eziologia.
3.    Cessazione = salute.
4.    Sentiero = cura.
Contemplare i fenomeni con le lenti delle Quattro Nobili Verità è il culmine di un percorso per il quale ci si è dovuti equipaggiare tramite tutte le indicazioni contenute nel Discorso: la consapevolezza del corpo, delle sensazioni, della mente e dei dhamma: quelli che ci costituiscono come individui, e tramite i quali operiamo, quelli che ci ostacolano e quelli che ci favoriscono nel Sentiero. Al culmine di tutto ciò, la contemplazione delle Quattro Nobili Verità hanno un forte accento pratico: dhukkha deve essere compresa, il sorgere deve essere abbandonato, la cessazione deve essere realizzata, il sentiero deve essere sviluppato. Di nuovo, un riferimento alle parti precedenti del Discorso: i cinque aggregati devono essere compresi, l’ignoranza e il desiderio devono essere abbandonati, raccoglimento ed equanimità devono essere realizzati, calma e visione profonda devono essere sviluppati.

E qui si conclude la mia esposizione del Satipatthāna Sutta con una buona notizia. Sono venuto a sapere che il libro Satipatthāna di Ajahn Analayo, sul quale mi sono ampiamente basato per questi miei post, sarà disponibile in tempi non lunghissimi anche in italiano. Spero nel frattempo di aver fatto qualcosa di utile per qualcuno.

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