sabato 12 dicembre 2015

Avversione all'avversione

Il secondo dei cinque ostacoli, l’avversione, è stato il filo conduttore dell’incontro di meditazione del 29 novembre scorso. Ho introdotto il tema ricordando che essa può essere annoverata tra le pulsioni primarie dell’essere umano quasi a livello di specie. Se la cura di se stesso e degli individui più prossimi è alla base di molti sentimenti di vicinanza e di affetto, la paura e l’aggressione sono probabilmente alla base dell’avversione, che mi risulta essere uno stato mentale molto più pervasivo e potente di quanto risulti ad un primo sguardo.

La meditazione che ho proposto e guidato ha ripercorso quella dell’incontro precedente: si parte sempre da un radicamento nel corpo e nel respiro, in modo da potersi aprire a osservazioni più profonde. Ho poi invitato i partecipanti a scandagliare il proprio sistema mente-cuore-corpo per scoprire se nel qui ed ora fossero presenti sensazioni o stati mentali spiacevoli, o pensieri in qualche modo negativi. Invece di relegarli sullo sfondo della propria esperienza, di ignorarli o reprimerli ho chiesto di prestarvi un'attenzione centrata e sostenuta, e sentire che cosa succedeva. E ho chiuso il periodo di meditazione invece chiedendo di pensare deliberatamente a qualcosa o qualcuno che suscitasse avversione (evitando argomenti troppo astratti, lontani o assoluti, come il terrorismo – o i terroristi -, la fame nel mondo o i politici disonesti). Dopo che il pensiero si era formato in termini di immagine, evocazione o altro, ho dato l’indicazione di scandagliare di nuovo il proprio stato, per fare l’esperienza diretta di come la mente negativizzata produca risonanze in tutto il nostro essere.
La successiva condivisione ha molto risentito della negatività dell’argomento. L’avversione produce stati psicofisici negativi anche nostro malgrado. Ormai tutti sono d’accordo nel sostenere che trovarsi in uno stato di avversione, per quanto legittimo, giusto o corretto possa essere percepito, non “ci fa bene”. La consapevolezza tanto degli aspetti fisici quanto di quelli mentali si può rivelare una preziosa risorsa: accorgersi può voler dire cominciare a liberarsi.
Nella pratica della meditazione si incontrano continuamente spunti di avversione, a partire dai vari dolori fisici, e tra i partecipanti c’è stata la consueta varietà di atteggiamenti: la consapevolezza porta sollievo (in genere sciogliendo tensioni muscolari non notate) oppure peggiora la situazione, acuendo la percezione della sofferenza. Nel mezzo ci sono tutte le sfumature possibili. Trattare questo argomento elementare ma profondo necessita una guida in carne ed ossa.
A un certo punto, durante la meditazione, è passata in lontananza una piccola banda di ottoni e percussioni che intonava una medley di canti natalizi. Io ho provato una forte avversione e la mia mente ha cominciato a produrre giudizi sull’impostazione delle armonie e sulle incoerenze ritmiche. Ho potuto comunque seguire lo spegnersi dell’avversione sullo spunto delle considerazioni che io stesso proponevo ai presenti: è solo avversione; la mia è una sovrapposizione condizionata ai semplici suoni che percepisco; posso includere questi suoni e prenderli solo come tali nell’orizzonte della mia percezione / consapevolezza. È stato divertente notare le altre differenti reazioni a questo episodio e molti hanno invidiato la persona che ha chiesto: “musica? Quale musica?”
Una sessione sull’avversione non poteva che concludersi con una meditazione di benevolenza, che è un suo antidoto diretto. Anche in questo caso, Metta significa in primo luogo benevolenza verso se stessi, in quanto vittime della tendenza innata all’avversione verso ciò che sulla base dei nostri condizionamenti ci appare spiacevole.

Prossimo incontro il 20 dicembre alle 10 e sarà il turno di indolenza e torpore.

Nessun commento:

Posta un commento